MARCELLO MURRU Arbatax Ci sono modi e modi di cantare. Per farlo come lo fa Murru ci vuole coraggio, convinzione, ispirazione. Bisogna camminare a testa alta sopra un'Italia musicale che spinge verso il basso, tapparsi naso e bocca, bendarsi gli occhi e sfuggire alle tentazioni del mercato. Che avrebbe trascinato volentieri il maturo artista sardo (di Arbatax) nell'inferno della canzonetta, magari trasformandolo nell'ennesimo parodista melodrammatico. Solo un produttore Lilli Greco (Patty Pravo, Paolo Conte), che dalla canzone pretende il gesto autorevole, il graffio dell'artista, avrebbe potuto indovinare un modo credibile di rendere in musica i testi di un artista che non corre con i tempi, ma dal suo rifugio di Testaccio, in Roma indugia per decenni sulle sue composizioni prirna di convincersi a misurarsi con il pubblico (le sue ultime prove discografiche sono remote: un album con i Mondorhama, uno a nome di Richter, Venturi e Murru, un disco solista, Murru, uscito esattamente dieci anni fa). Murru naviga nell'universo dei Ciampi, sguazza crepuscolare nella provincia italiana di Conte, ferma il tempo nella Roma dei quartieri di Sandro Penna. Canta e recita, recita e canta, come la prima volta che approdò nella capitale per inseguire il suo sogno d'artista. Che è ancora tutto qui dentro. Puro, immacolato, innocente come trent'anni fa.