Uno spettacolo che trascende la musica, che se ne infischia delle regole, che prevarica ogni catalogazione e che trasforma così quello che loro stessi definiscono "crossover", in un'esplorazione globale di disparate forme d'arte, con citazioni teatrali e poetiche che vanno al di là di un percorso strettamente musicale; un grande contenitore, avvalorato dalla presenza sul palco del gotha della musica Pinerolese, in cui si sono fuse influenze diverse, nel quale si sono sentite le origini "hard" della band, ma nel quale si è potuta scorgere l'incessante ricerca artistica che infine ha saputo ricreare atmosfere davvero irripetibili. Dolci ballades sostenute da due pianisti-tastieristi d'eccezione (Gianluca Pulina e Marco Varvello), dotati di grande sensibilità musicale; aspri riff che affondano le radici nella tradizione heavy metal più estrema portati avanti dalla grande grinta dei due May Be All originari, Diego Di Chiara e Gianni Pitzalis, nonché dal ritorno alle origini rockettare di un Paolo Bruno in splendida forma; citazioni reggheggianti e sprazzi di world music, evidenziate dalle sonorità etniche delle percussioni suonate da Alessandro Raise o dal violino di Marco Gentile, piuttosto che dalla fisarmonica (ancora suonata da Varvello) o dal clarinetto di Mattia Siccinio; un ulteriore esempio di fine ricerca sonora che mescola il rock più crudo all'elettronica più ipnotica; le taglienti voci di Cate (Seem to Madden) e di Alessandra (una delle Disco Sisters) che perfettamente si sono adattate all'anima sconvolgente dello show; non sempre di facile ascolto la musica dei MBA, ma certamente in grado di penetrare gli animi, di smuovere le coscienze, una personale interpretazione della retorica degli affetti in linea con l'atteggiamento da grande provocatore che da sempre si porta appresso l'ideatore di tutto questo: Diego Di Chiara. Ma il gran finale dello spettacolo, splendida interpretazione del concetto di Gesamtkunstwerk, l'opera d'arte globale di Wagneriana memoria, è quanto di meglio possa essere utilizzato per riassumere la proposta dei May Be All. La pista e le balconate del Roadhouse si trasformano in palcoscenico, si sconfina agevolmente dall'idea canonica di concerto, è la poesia che racconta la solitudine, è il teatro che si sovrappone alle note per sostenere l'inutilità di una guerra che in questi giorni è diventata di un'attualità indescrivibile. Il messaggio antibellico culminerà nell'immagine di una "bandiera della guerra" che viene lanciata, come a sancirne la fine, dalla balconata retrostante il palco, mentre un uomo arabo ed una donna chiaramente occidentale si scambiano un bacio sotto una pioggia di dollari. Uno spettacolo assolutamente, come si direbbe oggi, "flashante", che meriterebbe maggior fortuna, accompagnato da un messaggio di notevole profondità e che ci sentiamo di sostenere appieno, proprio alla luce di quanto sta accadendo nel mondo in queste ore.