Portland, nell’Oregon, è una delle città musicalmente più interessanti dell’attuale scena americana e di questa piccola certezza i Menomena rappresentano una delle tante, possibili conferme. Brent Knopf (chitarra, voce, programmazione), Danny Seim (batteria, voce), e Justin Harris (sassofono, basso, voce) hanno già fatto parlare di sé grazie a una serie di dischi affascinanti, in cui, con classe sopraffina, piglio intellettualoide e gusto deviante miscelavano elettronica e strumenti tradizionali. Armati di una diavoleria informatica che risponde al nome di Digital Looping Recorder (Deeler, in breve), ricavano da idee appena improvvisate, e lavorate come veri e propri loop, blocchi successivi di passaggi musicali compiuti. La musica acquisisce, così, un senso di perenne precarietà che, unita al piglio pop, rende il tutto effervescente ed estremamente intrigante. Passo felpato, una chitarra indecisa tra una slide languida e screzi elettrici taglienti; goccioline di piano ed un ritmo tra lo sghembo e l'ipnotico. Ed una voce orgogliosa e spavalda (“Muscle'n Flo”). E’ questo il biglietto da visita di “Friend And Foe”, che subito dopo incrocia, a passo marziale e con enfasi appena trattenuta, Arcade Fire e Tv On The Radio (“The Pelican”). Le progressioni pianistiche e gli intermezzi acustici imbeccano, in “Wet And Rusting”, un intreccio miracoloso. Sperimentale, ma non criptica, la musica dimostra di avere a cuore innanzitutto comunicatività e respiro universalistico, come una certa tradizione pop insegna. La dinamica inquieta di “Air Raid”, con sparse incursioni di sax e gingillini elettronici, ha un appeal notturno, da sonnolenza metropolitana, ma con cupe distensioni à-la Peter Gabriel. Ancora il sax, tra il sornione e il mattacchione, adorna un’altra splendida sofisticazione in bilico tra pop e rock come “Weird”. L’andazzo corale/altalenante di “Rotten Hell”, con battimano e glockenspiel, sembra un brano uscito dall’ultimo My Latest Novel, con quella sua verve malinconica che si attacca alla pelle come sudore freddo. “Running”, invece, scodinzola al suono di una filastrocca pulsante. “My My”, aperta da una chiesastica rarefazione d’organo, possiede una sfolgorante quanto seducente lucentezza retrò, iniettata di quella giusta dose di nostalgico ardore che ne fanno un immediato rifugio per i cuori più fragili. Le soluzioni sembrano infinite e il trio dimostra anche di sapersi divertire. E, allora, una strana fanfara a suon di fischiettii spensierati e spernacchianti borbottii di sax è quanto di meglio ci sia per fare un po’ di caciara alla buona (“Boyscout'n”). Trasandata e priva di un reale baricentro, “Evil Bee” dimostra, invece, che questo avant-pop sa anche maneggiare con cura il candelotto progressive, senza lasciarci le penne, giocando anzi al rialzo, in nome di un eccentrico disimpegno anti-convenzionale. Delicatezze post-punk s’avvertono nei fragilissimi e dimessi intarsi di basso e chitarra di “Ghostship”, che più la ascolti e più ti sembra di avere a che fare con dei Galaxie 500 più austeri. Lo sappiamo bene, ormai: Menomena è sinonimo di un continuo, estasiato work in progress. Apparentemenente senza troppe pretese, questa musica dimostra di sapere bene dove vuole andare a parare. Incapace di scontentare sia gli amanti di un certo rock d’impatto immediato che gli intransigenti accoliti delle contaminazioni, la band si congeda con un funk cadenzato e sornione, la cui romantica verve robotica imbocca un vortice psichedelico, prima di sciogliersi in un deliquio pianistico. Successivamente, andate pure di repeat a manetta. www.menomena.com www.myspace.com/menomena