In ‘Close’ ritroviamo suoni organici, accenni di costruzioni ritmiche altre rispetto agli standard del rock/metal occidentale e soprattutto un’atmosfera avvincente e convincente, quella di un (altro)mondo spirituale, nascosto e ctonio, che ha per sua natura una dimensione globale. Gli ottoni cupi di Orphalese disegnano paesaggi ieratici con un tocco neo folk tra i classici Dead Can Dance e i più moderni territori dark ambient/folk, Pilgrim è un mid-tempo implacabile e magnetico sulle coordinate di Wherever I May Roam dal ‘Black Album’, ma che mantiene in primo piano il carattere sghembo (almeno alle nostre orecchie) del materiale mediorientale di riferimento, senza ridurlo del tutto alla tirannia del quattro quarti e del sistema temperato occidentale. Hollow dal canto suo, lancia il cuore oltre l’ostacolo presentandoci centoventi secondi di cordofoni mediorientali, in un passaggio paragonabile a quei momenti acustici dello storico ‘Roots’ dei Sepultura: pochi secondi che riescono comunque a incidere, molto più di quanto sarebbe facile immaginare o descrivere, sull’economia generale del disco e del suo immaginario.