Double bass, violoncello e oscillatore. Ecco dalla Grecia i Mohammad, una band dedita al drone metodico e all’esplorazione armonica della poetica dei riverberi. Questo è il loro terzo album di studio. Un lavoro che cresce come un’onda con l’ispessimento e l’increspatura di un tono e si trasforma dopo una lunga dilatazione in spirale di oscillazioni sonore da chamber music. L’arco comincia a graffiare i contorni, gli accordi progrediscono intorno a strutture quasi sintetiche, mistiche in decay e riposizioni del verbo di Alvin Lucier. Ma tutto è volutamente lento, quasi immobile. Il disco è costruito su tre brani, il secondo dei quali conosce momenti lievemente più vivaci. Apertura e chiusura sono invece dedicati alla sospensione e a modulazioni che si perdono oltre il punto di fuga continuo del bordone. Nikos Veliotis, Costantino Kiriakos e ILIOS mettono in scena una messa ritualistica, a tratti pacificata e a tratti percorsa da vivida tensione spirituale, che parte da A e finisce ad A. Infinita astrazione che esteticamente non aggiunge nulla di nuovo alla ricerca di ambient dronico ma che sul lato emotivo dimostra grande valore e qualità. La musica-non-musica del trio è infatti estremamente curata e finalizzata alla catarsi, o all’ipnosi. Non c’è da stupirsi, Nikos Veliotis è una leggenda vivente della musica sperimentale greca e la band mantiene quanto promesso. Il fatto che il disco sia prodotto dalla PAN (etichetta cardine per questo tipo di musica) la dice lunga.