A Tel Aviv, a casa loro, li han marchiati e bannati da tutti i locali. Di gusti musicali eccessivamente estremi per i palati israeliani (agli esordi suonavano metal) e autori di spettacoli non proprio convenzionali (si narra d’esibizioni culminanti in bagni di ketchup sul pubblico) si sono “costretti” a traslocare oltreoceano, a New York, per cominciare da capo. Un nuovo suono (un sanguinario e crudele garage), la benedizione di Will Oldham e più di 300 date all’attivo in giro per Stati Uniti e Europa (possono vantarsi d’aver aperto i concerti di QOTSA, Ted Leo & The Pharmacists, Silver Jews), fanno dei Monotonix una delle realtà ancora in fasce, più interessanti in giro in questo momento. Dato il numero degli show dal vivo tenuti nel corso di soli due anni, inutile sottolineare come il loro punto di forza sia la rozza e incontrollata energia sprigionata sul palco. Tanto che il gruppo tenta di trasportare quella cattiveria pura e primordiale anche nei dischi. Body Language, loro secondo opera, è un album quasi in “presa diretta” che non può contare su “effetti speciali” (overdub o multitracce) semplicemente per il fatto che, la volontà del gruppo, era proprio quella di spogliare e rendere il tutto il più vero possibile. I suoni risultano così stronzi e fisici quanto basta, chitarre e voci si ritrovano a godere dell’appellativo di grezze almeno quanto i baffi incontrollati di Ami Shalev (cantante e “uomo immagine” della band). Non potendo gustarsi altro, bisogna per ora accontentarsi di questo veloce ma intenso EP di sole sei tracce, ma in grado di far sudare senza troppi problemi. E se ora è anche il pubblico ai loro concerti a rendersi autore di spettacoli non proprio convenzionali (a Knoxville un fan s’è letteralmente dato fuoco, mentre durante un’altra data una coppia ha dato vita a una fellatio di dominio pubblico) non si può dire che nella loro nuova “casa” non abbiano trovato chi li ama e li capisce appieno. www.monotonix.com www.myspace.com/monotonix