"Again" è il titolo del primo singolo estratto da “In Other Words We Are Three”, il disco d'esordio dei Moon In June, band formata da Giorgio Marcelli (basso, voce), Massimiliano 'Budo' Tonolini (batteria) e Cristian Barbieri (chitarra), musicisti della scena bresciana già al lavoro con progetti come Annie Hall, Le Man Avec Les Lunettes, Claudia Is On The Sofa, Il Sindaco e Jesus Etc..
Il brano, spiega il trio, racconta "quel che rimane di un rapporto molto stretto con la religione e il suo presunto protagonista, con un breve sguardo generale sui culti. E' la presa di coscienza di chi vuole essere un individuo lontano da una serie di leggi e dogmi che sembrano metterci contro piuttosto che unirci nel rispetto delle differenze."
"Again", così come il nome scelto dai Moon In June per rappresentarsi – un omaggio a una suite scritta da Robert Wyatt per l'album “Third” dei Soft Machine – testimonia una genuina devozione al rock in lingua inglese, faro di una navigazione intimamente blues che si fonde con una scrittura tipicamente pop-rock ma concedendosi qualche deviazione nel grunge e alcune fascinazioni psichedeliche di stampo british.
Sono queste le prerogative di un disco che testimonia l'indole febbrilmente live dei Moon In June, un approccio conservato anche in fase di registrazione grazie alla produzione di Stefano Moretti e alla perizia tecnica dei tre, che brano dopo brano ottengono un'efficace amalgama fra contrasti, influenze e suggestioni differenti. Così si spiega il titolo del lavoro, un riferimento alla frase di apertura dell'autobiografia di Charles Mingus (“In other words I'm three”), dove il soggetto "io" è stato modificato in "noi" perché, spiega il trio, “ci piace pensare che le persone tutte d'un pezzo non esistano… e che se esistono sono un po' noiose. Mingus si riferisce alle sfaccettature del suo essere e riassume sé stesso in tre tratti molto diversi. E' un punto di vista molto affascinante; nei nostri testi aleggia spesso il contrasto tra le sfaccettature della personalità, è un aspetto curioso anche se spesso mette in difficoltà, forse perché si tende ad inquadrare invece che soffermarsi sulle sfumature”.
Contrasto dopo contrasto, le canzoni dei Moon In June parlano delle cose normali che possono accadere “ad una persona che abbia una quantità sufficiente di anni per averle vissute e una maturità necessaria per averle rielaborate”: le difficoltà e lo smarrimento nel rapportarsi con sé stessi come nell'iniziale “Desert”, gli amori non corrisposti e rielaborati col passare del tempo come in “The picture” (che cita una celebre scena di “The Dreamers” di Bernardo Bertolucci con protagonista Eva Green) e la decadenza etica della politica contemporanea (“Please don't care about me”). Il tutto raccontato con una facilità di scrittura e una cura degli arrangiamenti che sorprende per quanto sappia essere “classica” eppure molto coinvolgente.
E' un disco che cattura l'attenzione “In Other Words We Are Three”: all'inizio seduce con il suo songwriting accattivane e vario, poi guida l'ascoltare alla ricerca di dettagli di suono preziosi, infine si lega a quest'ultimo come sanno fare i dischi che preferiscono l'onestà d'intenti e la devozione alla propria ispirazione invece di finzioni ad effetto che celano il nulla. Così accade ad esempio nella cover di "Angelene" di PJ Harvey, “un'artista che stimiamo e amiamo tantissimo” spiegano i Moon In June. In questo caso il brano viene rivisitato in modo a tal punto personale da risultare alla fine perfettamente allineato alle altre canzoni, come un piccolo grande gioiello di cui andare fieri.