Nobunny, moniker dietro il quale si cela l’artista di Tucson Justin Champlin, affermatosi a San Francisco dove si è imposto in breve tempo come nome di punta della scena garage-pop-punk cittadina. Celebre per la sregolatezza da erotomane cui dà sfogo nelle sue esibizioni dal vivo, impazza da dodici anni con una maschera da coniglio mutante e si professa figlio di una donna e di una lepre cornuta (il mitologico jackalope), ma il colpo gobbo l’ha messo a segno solo grazie al tardivo esordio “Love Visions” (qualcuno ricorderà la copertina omaggio ai Ramones), che gli ha garantito un buon numero di critiche entusiastiche e ha dato il la a una carriera che con il recente “Secret Songs” è giunta al quarto capitolo in appena un lustro.
Per quanto le sorprese del disco rivelazione siano impossibili da bissare, il suo songwritingrisulta perfezionato mentre l’approccio si mantiene felicemente orientato alla filosofia "diy": inevitabile, con simili premesse, che il risultato si traduca ancora una volta in un’opera pregevole. Canzonette sunshine-pop in bassa fedeltà, tirate hardcore-punk ruvide e selvagge, sozzure slacker e bonbon bubblegum fanno a spintoni in un frullatore folle che avvicina di diritto il nuovo Nobunny agli altri alfieri della stessa scena, con credenziali spesso migliori. Non solo per il ritmo sempre movimentato, per l’opportuna assenza di qualsivoglia sovrastruttura o complicazione intellettuale, per il lo-fi volutamente grossolano, l’andatura incespicante e un’attenzione alla bella forma che sfiora lo zero, ma anche per la scrittura pop davvero prodigiosa nella sua efficacia. Il citazionismo a tutto campo è degno della ditta King Khan & BBQ Show, l’attitudine tra lo svaccato e lo sdolcinato ricorda King Tuff (“My Blank Space”, “Do The Stooge”), mentre confezione povera e tono da battaglia sono gli stessi del vicino di casa Hunx e la propensione al frammento rivela una certa affinità con White Fence, per quanto l’uomo-coniglio di San Francisco prediliga un sound più sporco e rumoroso. La tendenza allo scherzo e al sabotaggio freak riporta ad analoghi episodi del repertorio proprio di Sultan e Khan. Scherzo che, così come l’irriverenza di facciata, è però solo uno degli aspetti in gioco. Minoritario se raffrontato alla puntualità dei pidocchiosi tormentoni killer, qua e là disseminati, che difficilmente mancano il bersaglio.