Abbandonata quasi totalmente la ruvidezza e la pesantezza hardcore, il gruppo belga ci lancia addosso un’ora abbondante fatta di lunghi brani (perché ovviamente DEVONO essere lunghi) in cui black-metal, post-metal, cantautorato alla Chelsea Wolfe (d’obbligo se si ha una cantante donna) e derive shoegaze si mescolano per creare un qualcosa che però riesce solo formalmente. E sì che brani che mi piacciono ce ne sono pure (“Needles in your skin” o “Where I Live”), ma l’emozione che mi trasmette questo disco è la stessa che provo nel camminare in una stanza perfettamente arredata di un negozio Ikea il sabato pomeriggio.
Come (seppur in misura minore) negli ultimi Alcest, il problema principale di un lavoro come questo è quello di voler a tutti i costi scrivere qualcosa che risulti emotivo emozionale e struggente. Però, anche provandoci, anche scegliendo Jack Shirley come produttore (Deafheaven, e Botanist), brani che ti scavano dentro come “Sunbather” o “Vertigo” o sei capace a scriverli altrimenti è meglio lasciar perdere. Persino gli acustici “Stay Here / Accroche Moi” e “Begeerte” o lo spoken words di “I’m Sorry, This Is” suonano talmente ruffiani da risultare irritanti. Sentitevi “Please Remember” e “Windows” dei Deafheaven. O un pezzo qualsiasi di Chelsea Wolfe, e poi capirete cosa intendo.