Gli Oxford Collapse sono una delle band che hanno esordito sulla scia degli Strokes e della rivoluzione indie d’inizio secolo: “Is this it” di Casablancas e soci è targato 2001, mentre l’esordio discografico del nostro trio di Brooklyn (sempre New York, dunque, anche se gli Strokes sono più ricchi e fighetti) è dell’anno seguente. “Remember the night parties”, che sulla carta è il terzo disco del gruppo, segna però anche un nuovo inizio: il primo lp ad uscire dopo la firma con la Sub Pop, che significa maggiore importanza e visibilità rispetto al passato. Una prima considerazione è su come New York sia ben presente in queste undici canzoni, e si senta chiaramente. Si sente in “He’ll paint while we play”, dove riecheggiano forti le chitarre lisergiche dei Velvet Underground; si sente negli spunti new wave, sparsi un po’ in tutte le tracce, che rimandano alla grande mela post-punk degli anni ottanta; si sente negli occhiolini a gruppi di concittadini più affermati, tra cui gli Interpol. Ma c’è spazio anche per altro, in un viaggio fatto per una buona metà da un sound caotico di chitarra e basso, scandito dalla batteria e dalle voce nevrotica di Pace, un sound ricco e caleidoscopico che a tratti finisce però per esagerare con gli effetti senza più capire dove voglia andare a parare. Il meglio sta allora in quell’altra scarsa metà di “Remember the night parties”, la metà in cui la voce si fa roca e si vira verso un indie più classico (“Lady lawyers”) e più orecchiabile (come nell’ottimo duo conclusivo, l’affascinante “Forgot to write” e “In your volcano” che tira le somme dell’album): qui gli Oxford Collapse si aprono ad un pubblico più variegato e suonano perfetti nel contesto di un fumoso club d’oltreoceano (o d’oltremanica…). Luci ed ombre, allora. Ombre di uno sperimentalismo a tratti eccessivo, troppo effettato e distorto per farsi apprezzare. Luci di qualità che emergono nella capacità di variare (anche all’interno di una stessa canzone, quando un tranquillo intermezzo divide due parti di indie duro e puro: vedi “Loser city”), di creare impasti sonori che talvolta suonano davvero particolari e affascinanti (vedi alla voce “Please visit your national parks”, uno dei momenti migliori). Si può fare di meglio, certo. Ma è altrettanto vero che New York qualcosa di buono ce lo regala sempre, e gli Oxford Collapse non fanno eccezione. www.oxfordcollapse.com