Se riusciamo a essere davvero la nostra arte, affrontiamo due rischi. Il primo è aver composto l’opera migliore. E fin qui, tutto bene. La seconda è essere trasparenti, quindi vulnerabili. E a questo punto l’interrogativo è: può un disco, per giunta strumentale e incentrato sulla chitarra, rendere evidente ciò che siamo e quanto ci ha attraversato? Restituirci le asperità, la crescita, i dubbi schiacciati come le note dai polpastrelli? E qui, invece, benissimo. Perché Nel torbido, un titolo preso in prestito da una battuta di Tony Curtis (“Nel torbido si pesca meglio”) da Operazione Sottoveste, film del 1959 diretto da Blake Edwards, è tutto questo. Potente come certe verità che comprendi quando non vorresti, urticante come gli anni che abbiamo passato, minimale come un cesello. “Dove torbido è il colore, dove nessuno è il numero”, per parafrasare un altro grande chitarrista, è lì che nascono queste sei nuove composizioni. Un disco accorciato e rivisto per essere accompagnato in un luogo dove non si era ancora stati. Forse pericoloso, meno illuminato, ma cosparso di una bellezza minimale. Per chi “sa”, è un Disintegration Guitars alla Basinski o un The Tired Sounds of Paolo Spaccamonti alla Stars Of The Lid. Per chi “non sa”, è una musica pura, adatta a giornate malinconiche spese sui riflessi dei vetri casalinghi, un’elegia composta dai tasselli privati dell’autore apposta per far quadrare anche i nostri. Un suono che supera gli strumenti che lo generano e che è stato affidato alle abili cure di Gup Alcaro, sound designer già al fianco di Spaccamonti in passato. Uno dei titoli, I sogni non servono, nasce da una frase del padre di Paolo, arrivata dopo una brutta notte di incubi e gettata alla fine di una cena come una sentenza: “I sogni non servono a niente”. Il disco è il primo a uscire per l’etichetta privata di Spaccamonti: Liza. Il padre di Paolo, da giovane era soprannominato Tony Curtis, la madre Liza Minnelli. Tutto torna. Almeno qualche volta. Quasi sempre nell’arte.
(Maurizio Blatto)