Si divora e ci divora, dunque, miss Chardiet, e lo fa come al solito con un percorso in cinque stazioni che sono una specie di via crucis del dolore autoimposto e innato, quasi atavico ma non ferino, nell’uomo; e per farlo usa la propria cifra stilistica, ovvero quella melma sonora al confine tra industrial-noise e harsh/power-electronics in bassa battuta tutto collasso e devasto, su cui una Pharmakon posseduta deraglia vocalmente come nella migliore tradizione di genere. Il fatto che i due lati del disco siano stati registrati in primis col supporto di Ben Greenberg degli altrettanto devastanti Uniforme, in secondo luogo, live in studio come una unica traccia, non segna solo una nuova modalità compositiva e di registrazione per Pharmakon, ma sottolinea sempre più l’urgenza che siffatta musica ha nel comunicare, specie in sede live, sua sede ideale, il disagio e il fastidio di tematiche così profonde e lancinanti.