Innanzitutto, parlando di Priestess è inevitabile parlare della Tanta Roba e dei suoi due artisti in assoluto più rappresentativi dell’ultimo periodo: Madman e Gemitaiz, che dal canto loro hanno contribuito massicciamente alla promozione della giovane cantante pugliese, e che son stati di tutta risposta ripagati con due featuring, in ordine “Chef” ft.Madman (in cui il conterraneo ha fatto valere tutta la sua esperienza, oscurando, anche se molto leggermente, Priestess) e “Verde“ ft. Gemitaiz.
Le restanti 12 tracce del ricco EP, possono invece essere sostanzialmente divise in due macrosettori piuttosto differenti fra loro.
La prima parte dell’album si propone di essere una sorta di biglietto da visita, una riconferma definitiva delle sue peculiarità nell’approccio alla musica: praticolarmente marcati, infatti, gli incastri metrici, le parole chiave ricorrenti, e la vocalità profonda e pungente che tanto la contraddistingue.
A perderci da questo tipo di approccio, denso di tutti i topos formali utili a delineare e mostrare la propria unicità stilistica, è però la varietà -tematica e linguistica, regina indiscussa, invece, della seconda metà dell’album.
Di fatti, a partire da “Monna Lisa” in poi, il lavoro di Priestess assume un’ottica più marcatamente intima: se dal punto musicale le tracce appaiono maggiormente piene di riferimenti al pop, caratteristica che comunque risulta innovativa all’interno dell’opera musicale prodotta fin’ora da Priestess, i temi trattati risultano decisamente più vari; le immagini, più ricercate; il linguaggio, più sincero.
È come se l’artista avesse dovuto necessariamente riprendere il proprio percorso dagli stessi stilemi fondamentali che l’hanno resa celebre, recuperandoli e portandoli al loro estremo, per poi servirsi deliberatamente di loro nel momento della cruciale decisione di ampliare il proprio universo musicale e stilistico, tracciando così un sentiero solido e ben delineato per il proprio futuro.
Un album dunque profondamente funzionale da un punto di vista artistico, persino doppiamente utile, ma che al contempo risulta essere molto d’impatto e piacevole, e pertanto ampiamente fruibile per l’ascoltatore più distratto e occasionale; aspetto, questo, che senza dubbio aiuterà “Brava” a guadagnarsi una considerazione non indifferente nonostante un anno artisticamente soprendente, come questo 2019 sta rivelando d’essere.