RICHARD CHARTIER Series Mai si è scritto cosi tanto di così poco... Di che parliamo? Naturalmente della nuova elettronica (post-)digitale o, se preferite, microwave (l'ultimo neologismo e Bip-Hop Generation, come l'esordiente etichetta francese Bip-Hop titola una serie di compilation pubblicate ogni trimestre e dedicate al fenomeno, nel primo volume Goem, Schneider TM, Marumari, il nostro Massimo etc.). Ciò premesso e svanito l'effetto sorpresa, è quasi inutile concludere che attualmente alla crescita esponenziale del numero delle microstars (?!) e dei seguaci del glitch corrisponde un'inflazione produttiva e un livellamento verso il basso della qualità media delle uscite sul mercato. Pecche dalle quali è fortunatamente esente la discografia dell'artista americano Richard Chartier, in particolare il recentissimo "Series", a tutt'oggi il suo lavoro più maturo e significativo. Pubblicato dalla neonata Line, divisione della 12k diretta dallo stesso Chartier e da Taylor Deupree (prossime pubblicazioni a cura di Immedia, Miki Yui e Steve Roden), l'album rivaleggia in quanto a silenziosità con le opere più sobrie di Bernhard Günter (l'ascolto in cuffa è caldamente consigliato). Volumi e alte frequenze impercettibili oltre ogni tabù fonico, toni statici, piccoli disturbi ciclici e ultra-stilizati, lievissime sinewaves e immobilità da atarassia zen costringono a cogliere l'essenza infinitesimale, virale, batterica del suono in sé e la sua complessa rete relazionale col tempo e con lo spazio. In sostanza, uno statement su quanto e come siano cambiati radicalmente negli anni l'atto del fare musica e quello dell'ascolto rispetto a come li conoscevamo e concepivamo.