ROKY ERICKSON "Never Say Goodbye" Più volte ritornano: modifica di un adagio quanto mai appropriata per Roky Erickson, probabilmente la figura dell'immaginario under-rock che più ci si sorprende a risentire. Quella che ha costellato la vita del leader di un gruppo-chiave per la storia della nostra musica come i Thirteenth Floor Elevators è stata sempre un'inquietudine strisciante, un'incapacità di adattamento che lo ha portato a smarrire più d'una volta la rotta. Eppure, eppure... Roky non si è mai definitivamente perduto, a differenza di molti altri. E' ritornato come punto di riferimento (soprav)vivente negli '80 e, in maniera molto frammentaria e poco rassicurante, anche in questo decennio ha dato qualche traccia di se (non eccelsa con "All That May Do My Rhyme", 1995). Essere 'malato' è probabilmente una sua caratteristica endemica. Attenzione, però: "Never Say Goodbye" (!) non è un nuovo album, ma finisce comunque per lasciarci letteralmente senza fiato. Si tratta di canzoni registrati in maniera molto precaria e difforme - acustiche, alcune catturate nel '71 al Rusk State Hospital, dove Erickson era incarcerato, altra nel '74, ed un trittico dal vivo a metà degli '80, in uno dei periodi di massima crisi comunicativa dell'artista, e si tratta di una manciata di brani bellissimi ed intensi; aldilà della loro scheletricità.