Qualche anno fa, non troppi, sembrava che le sfavillanti lucine della “fama indie” fossero in procinto di accendersi sulla testa di Ryland Bouchard e dei suoi The Robot Ate Me. Il classico gruppettino (progetto solista con collaboratori variabili) che sembra essersi formato solo per far godicchiare un po' i redattori di Pitchfork, mischiando folk classicamente americano, indie pop e stramberie varie. Non abbastanza per diventare delle star a livello mondiale, ma quanto serve per essere ammessa all'empireo delle band di culto. Dopo una serie di album più o meno buoni (da recuperare, almeno, “On Vacation” e “Carousel Waltz”), Ryland ha deciso di mettere nel cassetto il moniker da band e continuare a fare le cose in prima persona. Verso la fine del 2008 è uscito il primo lavoro da solista di Ryland Bouchard. Per scherzo, ma neanche troppo, la stampa americana si divertiva a definire i The Robot Ate Me come una delle band più “assurdamente indie” del paese. Una di quelle con la tendenza a sputare su ogni possibilità di farsi notare, optando sempre per la mossa più sbagliata e difficile da portare a termine. Ed infatti, che cosa poteva essere la prima prova solista di Ryland se non un album suddiviso in quattro sette pollici, stampati a mano, con un cd riepilogativo, un altro contenente le b side, un dvd, una maglietta e libretto con i testi scritto di proprio pugno? Tra le canzoni di “Seeds”, questo il titolo del cosone, si può trovare davvero di tutto. Dal pop imprevedibile di scuola Eels, al country sbilenco che pesca dai Grandaddy quanto da Daniel Johnston. Nel 2013 Ryan torna con un disco, Bridge By Bridge, a nome The Robot Ate Me. www.rylandbouchard.com