ROLAND ORZABAL/Tomcats screaming outside Dov'è finito l'Orzabal dei luminosi Tears For Fears? Dove sta di casa l'assennato consigliere di Advice for the young at heart? Che proprio lui, andando avanti, non sia stato più in grado di mantenere giovane il suo cuore? Potenza dei talento. Un giorno c'è e vorrebbe sussurrarti: resterò qui per sempre. Ma il giorno dopo già è svanito e allora le strade delle grandi città della musica si riempiono di figure che non hanno più nulla da raccontare, pescano qua e la, con le mani tremanti, la presa incerta, spunti per una canzone, accendono lo stereo nel bovindo (a Londra non c'è un solo artista che negli ultimi vent'anni non abbia avuto un bovindo magari di uno squat, in cui ascoltare un po' di musica e farsi una canna in santa pace) e ascoltano qualunque cosa per scongelarsi l'anima in cerca di uno straccio di ispirazione. Tanti come Orzabal fanno fatica persino a mettersi la mano nella tasca interna del giaccone per esibire la propria carta d'identità. Ma in realtà è l'unico sforzo veramente necessario che gli si chiede, quel suo pubblico, ancora straziato dalla nostalgia per tutto quello che gli è stato regalato in passato reclama. Perché se lo si dovesse riconoscere da questo carosello di generi senza sentimenti, o dalle puerili provocazioni sonore di questo disco (fratello dei suoi virtuali predecessori, gli ultimi fuochi spenti dei Tears For Fears, Raoul and the kings of Spain e Saturnine martial & Lunatic), verrebbe da pensare che questo Orzabal, che va in giro a cercare il nuovo con ossessiva pervicacia, sia un altro Orzabal. Un clone, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, uno qualunque, in un mondo qualunque, per una musica qualunque piena di indizi che portano dritti nella più vicina discarica dei sogni.