SAINT ETIENNE Good humor Confezionare canzonette come fosse un esercizio di speculazione intellettuale: questa l'impresa in cui da anni si cimentano i londinesi Saint Etienne. E che siano londinesi purosangue, a dispetto della grafia americana del titolo - humor anziché humour - e della produzione svedese di questo quarto album, lo si percepisce ascoltando la musica di cui sono artefici. Traspira infatti da essa un'inconfondibile aroma Sixties, da swinging London: più Sandie Shaw che Beatles. Se da un lato va riconosciuto loro un ruolo di precursori, tanto per ciò che riguarda il fiero anglocentrismo propugnato dal britpop, quanto per l'attitudine a valorizare ciò che ci piace chiamare il lato B degli anni Sessanta (lounge e easy listening in primo piano, precetto applicato da epigoni quali Cardiqans, Pìzzicato Five e Dubstar) dall'altro va detto che in Good Humor la formula comincia a mostrare i propri limiti, confutando il peana introduttivo vergato dallo scrittore Douglas Coupland. Sarah Crackneil, gentile cantante, Bob Stanley e Pete Wiggs, abili musicanti, hanno preparato anche in questa occasione alcune galanti canzoncine ideali per il consumo primaverile (ecco Lose That Girl, Erica America, Goodnight Jack), ma non molto di più. E forse, dopo quattro anni di silenzio, dai Saint Etienne ci si poteva aspettare maggiore generosità.