Si chiama Simon Joyner e viene da Omaha. Anche se facilmente non lo avrete mai sentito nominare, è uno dei più rispettati riferimenti per la canzone d’autore nel suo paese, e in venticinque anni di ineccepibile carriera ha raccolto elogi sperticati dai vari Beck, John Darnielle, John Peel, Gillian Welch e Kevin Morby, oltreché dal suo discepolo riconosciuto, il concittadino Conor Oberst. La vittoria di Trump, si diceva, lo ha scottato. Ha dato corpo, più che altro, a un risentimento che in lui covava da tempo e che lo ha spinto a tornare in studio ad appena due anni dal precedente “Grass, Branch & Bone”, infoltendo il suo gruppo di supporto (The Ghosts: Chris Deden, David Nance, Michael Krassner) con uno stuolo di turnisti di rango, in testa gli esperti Alex McManus (Lambchop, Vic Chesnutt) e Ben Brodin, per l’occasione anche produttore