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SKID ROW

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Slave To The Grind" seguiva di due anni l'acclamato debutto con il quale i cinque del New Jersey avevano fatto breccia nei cuori di milioni di adolescenti, complice sì il faccione da belloccio di Sebastian Bach ma anche un disco che non presentava punti deboli. Da lì il tour con i Mötley Crüe e Bon Jovi, che da bravo conterraneo li aveva scoperti e messi sotto la propria ala protettiva. Sembrava che una nuova stagione per il Sunset Boulevard e il rock americano fosse alle porte, una sorta di estensione di quei favolosi anni '80. Gli Skid Row però, ed erano in pochi a saperlo, avevano la stoffa dei veri rockers. Con una mossa per i tempi alquanto inusuale, con il secondo lavoro in studio gli Skid Row optarono per il cambio di rotta e chi pronosticava un ammorbidimento o una ulteriore commercializzazione sulla scia del grande successo ottenuto fu colto clamorosamente in contropiede. "Slave To The Grind" è un disco pesante, pesantissimo, proprio come una zavorra in mezzo al mare. La band mette sul tavolo quelle influenze che aveva tenuto con pudore nel cassetto e ne esce un disco che è un autentico macigno, il pubblico è tramortito, spiazzato, e anche i detrattori si tolgono il cappello, qui non c'è solo il coraggio della scelta controcorrente, ma dodici brani da spellarsi le mani che non si limitano a bussare alla porta dell'heavy metal: resiste il groove di derivazione street rock, così pericolosamente al limite dall'essere fuori moda (sarà dopotutto questione di pochi mesi) ma ancora efficace quando sporcato dovere come nel singolo "Monkey Business". Con la title track i livelli di BPM e distorsione si alzano in modo vertiginoso, mentre "Get The Fuck Out" e "Riot Act" soddisfano la sete di quelli che desiderano un rock n'roll senza troppe declinazioni. "Slave to The Grind" è per certi versi un disco di passaggio, la transizione fra due epoche: se dopo "Appetite" i Guns n'Roses avessero fatto uscire un disco così oggi parleremmo di una pietra miliare in perfetta continuità con il predecessore, allo stesso modo in cui "Psycho Love", "Mudkicker" e "Creepshow" conferiscono quel tocco alternativo e "groovy" che colloca saldamente la band negli anni '90. Non pensate a "Slave To The Grind" come un disco per soli palati duri: "Wasted Time", "Quicksand Jesus" e "In A Darkened Room" sono tre ballads di altissimo livello che vibrano di intensità sulla falsariga di quelle del debut (serve ricordare i titoli...?) e si guadagnano con onore il piazzamento nella classifica dei singoli. Che alla fine dei conti saranno ben cinque, niente male per un gruppo che aveva deciso di andare controcorrente, ci provarono anche gli Warrant l'anno successivo con un disco ancora più audace, ma loro partivano svantaggiati, non avevano alle spalle un lavoro come "Skid Row" e non avevano forse il rock duro nel DNA, non almeno nella misura in cui lo avevano Sebastian Bach e compagni. Che non saranno stati degli innovatori, e magari saranno stati pure favoriti dai lineamenti fanciulleschi del frontman, ma che restano ancora oggi fra i gruppi più in rotazione nelle discoteche rock di mezzo mondo.

SKID ROW è presentato in Italia da HELLFIRE BOOKING

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