Quella degli Stars of the Lid è una musica unica: a voler essere imprecisi la si potrebbe includere sotto il termine ambient, ma in realtà essa è così differente da praticamente tutte le branche del genere la cui ‘invenzione’ è di norma accreditata a Brian Eno, da costringerci quantomeno a rivederne i confini. Innanzitutto riesce a non essere cupa, pur non sconfinando neppure lontanemente negli obbrobriosi territori della new age. È a suo modo rilassante e distesa, tendenzialmente ‘piatta’ o poco variata, ma non ha comunque nulla a che vedere con isolazionismo et similia. Forse la ragione di tutta questa sua peculiarità sta nel fatto che l’origine prima dei suoni è di tipo analogico, ma analogico in modo radicale: oboe, violoncelli, piano, viola, corno, tromba, clarinetto e qui perfino cori, ma talmente trattati (ma mai maltrattati, nel senso che persiste una loro riconoscibilità) da essere altro. Dato che tale altro non è elettronica, la loro musica si distacca anche da tutta la genìa ambient di stile Fax o di certi pur ottimi lavori di gente come Global Communication o Aphex Twin. Si obietterà allora affermando che siamo in territori di sperimentazione, di musica colta, minimalismo à la Feldman, ed in effetti sì, c’è qualcosa di quello, o anche delle composizioni di Preizner, ma quello che sconvolge è che la musica di McBride e Wiltzie resta anche decisamente accessibile, a differenza di tanti sperimentalismi validissimi ma, diciamo, ‘difficili’. Questo per dire ciò che questo disco non è. Per invece esprimere cosa sia, occorre andar per metafore, e dirvi che "...and their Refinement of the Decline" può essere la musica adatta a riprendersi da uno shock, o perfetta per leggere un libro impegnativo e bellissimo, per assopirsi una sera qualunque, per fare l’amore con lentezza, e più di tutto per andarse all’altro mondo. Sì: questa è musica a suo modo definitiva. Difficile ascoltare un altro disco a seguito di questo, se si è nel mood giusto (certo non è da caricare cull’iPod per il jogging). Per dirla tutta, là dove gli SOTL titolano il disco citando il declino, fa invece specie notare come il loro progetto musicale sia uno dei rari che di disco in disco non solo non delude mai, ma migliora di continuo. Questo è dunque il loro migliore album di sempre. Nota finale: anche la grafica del doppio digipack, sebbene un po’ retrò, è molto bella, e datevi un’occhiata ai titoli, come sempre evocativi e perfino ironici, su tutti That Finger on your Temple is the Barrel of my Raygun. Viene da chiedersi come (o se) siano in qualche modo legati alla musica. Se me lo permettono, li intervisto e glielo chiedo. www.brainwashed.com/sotl www.myspace.com/starsofthelid