STEPHAN MICUS "Desert Poems" "Desert Poems" è il quindicesimo album solo di Stephan Micus, all'insegna di una lunga ricerca schiva e solitaria ma quasi sempre profondamente ispirata. Sembra proprio un mondo a parte quello di Micus, un mondo a se. La sua non è musica etnica in senso stretto, tantomeno new age, è purissima musica acustica invece e frutto del suo inquieto nomadismo sonoro. Pronto ogni volta a gettarsi in nuove avventure ai quattro angoli del pianeta, nel corso del tempo, il musicista tedesco ha raccolto miriadi di strumenti, che poi è in grado di suonare con invidiabili capacità. Così più o meno puntualmente ogni 3-4 anni Stephan Micus ritorna con un nuovo disco e ogni volta gli appassionati si chiedono: cosa mai avra scoperto ora? Quale sarà il percorso narrativo-sonoro del nuovo viaggio? Bene in "Desert Poems" è la fascinazione per il deserto con i suoi silenzi, la sua immensità e austerità. Così le nove tracce del disco, tra le più belle ed ispirate del Micus degli ultimi anni, sono legate tra loro da una scarna essenzialità, anche persino quando egli accosta strumenti e sonorità diversissimi tra loro. In questo caso il sarangi (strumento a corde indiano) si sposa senza problemi con il dondon (percussione africana) nel brano d'apertura The Horses of Nizami ed entrambi con la voce calda ed evocativa del musicista. I momenti più intensi però sono quelli in solo: Adela per 22 dilruba (altro strumento a corde indiano suonato con l'archetto) è forse il momento più commovente; Night per douss'n gouni (un'arpa dell'Africa occidentale) First snow per shakuhaci (flauto giapponese), Contessa Entellina per sola voce a cappella, sono altrettanti momenti di magico lirismo. Certo fuori dal mondo, fuori dal tempo, fuori dal clamore, fuori da tutto ciò che fa tendenza. Forse un mondo per pochi?