Con “Small rooms”, invece, bisognava in qualche modo dimostrare indiscutibili qualità compositive, per fugare ogni dubbio sullo spessore effettivo della proposta. Sicché in appena mezz’ora concentrano 11 tracce in cui vincono la scommessa e convincono appieno: più maturi, più incisivi, più scuri, confezionano un disco che con una produzione più blasonata avrebbe sbancato le classifiche indie d’OltreOceano. Qui, invece, “ci mette le mani” ancora Giulio Favero, e tira fuori il soul dei tre mantovani (coadiuvati nell’occasione dall’amico Paolo Mazzacani) come forse nessun altro in Italia oggi sa fare.
Il risultato sono canzoni sul filo del rasoio di scuola Dischord, ricche di controtempi e accelerazioni violente (“Rage Age”, “16 Bits Vs 16 Tricks On 2”), di atmosfere elettriche e tempestose (l’azzecatissima apertura di “In John Shoes”, “So shy”). In mezzo a tutto ciò, i Nostri si ritagliano anche lo spazio per rallentare il ritmo e azzeccare un mid-tempo sincopato come “Need a gun” ma - soprattutto - ma anche un ipnotico lento che ricorda nel suo incedere il migliore Songs:Ohia (“Hold on”).
Un disco che conferma alla grande una formazione che di questo passo riuscirà a competere con i nomi internazionali senza alcun timore reverenziale.