Quattordici pezzi presenti nella tracklist, l’album si divide in sette brani cantati e sette relative versioni dub: ad aprire troviamo Relijian, primo singolo uscito a gennaio e accompagnato da video ufficiale. Il suono tipicamente settantiano come macchina del tempo ci riporta agli anni d’oro della scena reggae inglese e le liriche “so much religion, still we hate on another” che riecheggiano misticamente come un avvertimento, rendendo il brano una perfetta ‘balance’ tra passato e presente.
Sempre attualissime anche Racism Never Sleep e Talkin’ Revolution che raccontano in chiave poetica come nonostante tutto il razzismo sia ancora una piaga mondiale e la necessità di cambiare le cose, con uno sguardo particolare rivolto a Mama Africa, attraverso una rivoluzione: il primo brano si contraddistingue per i ritmi lenti con una forte presenza di tastiere mentre il secondo per le trombe che la fanno da padrona.
Testi meno impegnati e ritmi più allegri in She Look Like Reggae, lovers tune e terza traccia in lista e Wheel and Come Again, ultimo brano cantato caratterizzato dalla presenza del sintetizzatore a dargli una leggera influenza pop.
Don’t Play With Fyah, che esce a distanza di ben cinque anni dall’ultimo album I-Surrection, è sicuramente uno dei migliori dischi roots di questi primi mesi del 2017, grazie sicuramente al team della Sugar Shack e alla presenza di Dennis Bovell come sound engineer dietro alla produzione di questo piccolo capolavoro a dimostrare come la band, attiva ormai da quasi quarant’anni, sia ancora in grande forma.
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