C'era una volta il math rock. Siamo già in grado di leggere tale frase ai nipotini? Non in senso assoluto. Ma è appena uscito un disco di un gruppo che fino a ieri faceva math – ascoltatevi World City, dell'anno scorso, per la conferma – e oggi sposa un'alterità che non ci fa certo rimpiangere il passato. La band si chiama Thank You e noi ringraziamo i suoi componenti perché con Terribile Two hanno escogitato e realizzatola quadratura del cerchio (alla testa) delle tendenze di cui abbiamo discusso negli ultimi mesi, PDF precedente e corrente compresi. Hanno preso la percussività, il tribalismo, angolature, la psichedelia, il kraut-rock meno “trattenuto”, gli organi d'antan e non si sono curati – neanche loro – dello svincolamento tra genere di appartenenza ed effetti alla fruizione. Ascoltando la batteria arrembante e afro-invasata (tra i barriti di elefante di Empty Legs) di Elke Wardlaw viene da pensare a un solfeggio esistenziale, un continuum figlio del Kevin Shea di qualche anno fa ma pure dei suoi novelli Talibam!. Al contrario dei newyorkesi, però, i Thank You riescono a fare una musica spesso “estroversa” comunicando introversione, magmatismo, oscurità al galoppo di un cavallo. Come la diffidenza nascosta dietro gli spasmi della New Thing. L'immagine per descriverli e tradurli potrebbe essere il simbolo della madre terra, un vortice molto simile al labirinto, come effetto visivo, ma diametralmente opposto, per molti versi, nel lato concettuale. Una spirale verso il centro dove l'importante è il viaggio, percorso sia di corsa che con passi pesanti nella melma, ipnotico ma serrato; sostenuto e crescente, ma ripetitivo e tenebroso. La chitarra produce tocchi di non facile datazione, fino a mettere in scena un duello Battles-Holy Fuck (Embryo Imbroglio); la sua nemesi è l'organo, aiutante e oppositore insieme, in realtà, proprio come i synth talibameschi di Matt Mottel. E però rimuginandoci esiste un altro taglio pertinente, che porta agli esordi della musica cosmica, a quei live all'UFO Club dove i primissimiPink Floyd creavano un modo di guardare lassù, mentre la testa girava e il corpo andava in basso, sottoterra; ecco chi c'è nei primi cinque minuti della title-track, in quelle posture che ricordano il Barrett (e il Wright!, ecco chi sentivamo anche in Self With Yourself) di Interstellar Overdrive – e di Nick' s Boogie- votato al vudù jazz di Archie Shepp; ecco da chi partire per leggere, dopo quei cinque minuti, il giro armonico con tanto di organetto ritmico da surf Sessanta che chiude il disco. Qualcosa di molto vicino a un capolavoro. Sicura salivazione al pensiero di vederli dal vivo. www.thrilljockey.com www.myspace.com/wethankyou