Automaticamente ci si sente portati in una baracca di legno scricchiolante, con i field recordings di venticello, uccellini, passi a far da legante alle composizioni scarne e tese dei tre nuovaiorchesi. Landscapes americani dilatati cari più allo Smog e al Palace di qualche anno fa che ai desertici visionari alla Howe Gelb. Le sparse melodie di chitarra delineano gli spazi su cui si adagiano layer di voci non del tutto armonizzate; paiono andare più ognuna per sè che non seguire un preciso intento. Da qualche parte tra i parlottamenti di Chris Leo con i suoi Van Pelt (per tonare ai Peanuts) ma su basi decisamente più vaghe, niente angeli in giro questa volta. A condire il tutto arrivano delle rasoiate di violino indolente, dalle parti dei Dirty Three, se levate gli epici crescendo postrock. Due chitarre iper riverberate e violino è, dunque, la pasta base di questo disco piuttosto interessante. Passato lo choc dell'appeal urbano/pastorale già strasentito, ci troviamo rapiti all'interno di queste composizioni che sembrano intercettate attraverso apparecchi radio d'altri tempi. Dove compaiono, le voci sono e rimangono il punto focale delle strutture, attirando l'attenzione dell'ascoltatore che nelle parti strumentali è costantemente mantenuto sul chi va là. La maturità di questa raccolta di canzoni ne fa un buon compendio, in una passeggiata da svegli o addormentati, per i nostalgici della prima Cat Power, quando i Two Dollar Guitar avevano qualcosa da dire, e Herman Dune, emulo/i di tutto e tutti; un disco che non ti stupiresti di trovare su Acuarela e portare in trionfo all'altare del quasi-adult-oriented indie-rock cantautorale. www.myspace.com/thedustdive