Non tutte le belle storie hanno una fine lieta. Tante di quelle che hanno raccontato a noi rudi garage-punksters, non ce l'hanno. Prendete la storia di Paula. Paula è una ragazza che nutre una passione insana per il garage-punk, e sta insieme a Shelley che a colazione mangia pane e garage-punk; così Shelley, che una banda già ce l'ha, sprona pure Paula a metterne su una insieme ad alcune coetanee; ma è una banda per modo di dire, dato che Paula fa in pratica tutto quanto lei. Paula si sbatte a destra e a manca e recupera ingaggi per suonare in ogni dove; in un qualche dove, la vede Greg che è il capoccia di una casa discografica da urlo; e va a finire che la banda di Paula arriva ad incidere per l'etichetta di Greg. Paula non è una raccomandata, niente a che vedere con la pupa del boss, è un delitto solo pensarlo: lei ha un gran talento e di sicuro farà strada, per cui è naturale che lavori per la migliore casa discografica del pianeta garage-punk. E poi una banda garage tutta al femminile non si è mai vista: ci sono le Runaways, le Go-Go's e le Bangles, poi verranno le rrrrriot girls ma Paula e le Pandoras sono un'altra cosa. Loro suonano incompromesso garage-punk che procede di filato dai Sessanta di Nuggets e Pebbles e di un posto sotto le luci dei riflettori non sanno che farsene, quindi al diavolo le tendenze plastificate che imperano in quei giorni; ed è chiaro che nemmeno il music business sa cosa farsene di un gruppo del genere. E così le classifiche di lì a poco tempo le sbancheranno le Bangles, mentre loro resteranno per sempre nell'ombra. Ma intorno a Paula ed alle Pandoras cresce un piccolo culto che dura ancora oggi, fatto di pogo ed headbanging sopra e sotto il palco e buonissime vibrazioni che dagli amplificatori arrivano dritte al cuore di un manipolo di maniaci garagisti. Il culto germoglia tra i solchi di «It's About Time». All'epoca il garage è roba di Fuzztones e Gravedigger V, brutte facce da zombie e becchini che suscitano timore e diffidenza. Permettereste mai che vostra figlia esca con Rudi Protrudi? No, cazzo, a quello gli sparo addosso se solo lo vedo imboccare il vialetto di casa, e poi gli ficco in gola una per una le ossa che adornano il collo ed i polsi. Poi arrivano le Pandoras ed «It's About Time» fin dalla copertina è un'esplosione di colore e garage yé-yé. Il garage yé-yé è quello che promana dai solchi della title-track e da brani belli belli belli come «He's Not Far» ed «I Live My Life», per non dire di «It Just Ain't True». Tutti frutto della penna di Paula, perché lei è piena di talento e, a differenza di tanti compagni garagisti, privilegia decisamente le proprie composizioni alle covers di facili richiamo e presa sul pubblico. Poi ci sono i riff rubati a «Gloria» e «Louie Louie» ed il garage ortodosso di «I Want Him» e del piccolo inno «Want Need Love», ed è ancora un gran bel sentire; così come l'orrorifico surf strumentale di «Haunted Beach Party». Tutto molto bello, ma il riscontro commerciale è quel che è. Per cui le Pandoras si sbandano, Paula e le altre litigano su chi possa continuare ad usare la ditta sociale. La spunta Paula che riforma da zero la banda e mette su un secondo disco, «Stop Pretending», che è una meraviglia di freschezza ed impeto garage come se ne sentono raramente. Poi un mini ed un live, altri litigi e la banda si scioglie di nuovo e quello che si può presumere è che Paula non abbia un carattere facile. Poi arriva la fine, che non è lieta: Paula muore per un aneurisma, che non ha nemmeno trent'anni. Ed è un gran peccato che la storia finisca così.