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THE ROADLESS

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A due anni di distanza dall'album d'esordio, "Whiskey For Breakfast", tornano i Veronesi Roadless, e questa volta fanno le cose sul serio; al punto di affidarsi, in fase di produzione ed arrangiamento dei brani, al noto Andrea Martongelli, leader degli Arthemis, e ormai figura di riferimento per la chitarra metal, nazionale e non solo. Il fatto che i nostri siano giunti all'appuntamento con un secondo lavoro su lunga distanza, di questi tempi, pare già un traguardo ragguardevole, vista la facilità, e la superficialità, con cui ormai gruppi di livello disparato, affrontano l'avventura nel mondo della musica per poi sparire nel nulla, nell'indifferenza più totale. Tutto ciò a riprova delle buone qualità del quintetto veneto che, in queste dieci tracce inedite, dimostra di possedere preparazione tecnica e, sicuramente, il gusto ed il talento per la composizione del 'gancio' giusto: quei ritornelli di immediata assimilazione che, in questi tempi di 'tutto subito', sembrano ormai prerogativa indispensabile per un brano pop rock, al punto che tutto il resto, a volte, pare quasi trattato con noncuranza. Malgrado il coinvolgimento ed il curriculum di Martongelli, non ci troviamo di fronte ad un prodotto dichiaratamente metal, piuttosto ad un rock grintoso e moderno, roccioso nelle chitarre e melodico nei cantati; come dimostra la traccia d'apertura, la convincente "A Thing That Set You Free", che evidenzia la pregevole prova vocale di Nick, e che ha il suo punto di forza proprio nell'arioso chorus che vi si fisserà in testa come un chiodo. Un brano vincente, e sicuramente il modo ideale per introdursi agli ascoltatori. Ancora tanta melodia nella successiva "No Excuses", dove traspare un certo retaggio metal, soprattutto nella costruzione armonica del brano; malgrado ciò, tutto viene ammantato di una patina radio friendly, fatta di arrangiamenti ridotti all'osso ed un edulcorato spirito di ribellione, che ce la fanno passare sulla pelle senza troppe escoriazioni. Resta la sensazione che, liberati dalle briglie di una produzione, sicuramente professionale, ma un po troppo asettica, le idee melodiche dei Roadless potrebbero risultare letali. Gli stessi interrogativi si ripresentano nella piacevole power ballad "Our World", ovviamente dedicata all'amata di giorni che sembrano non voler tornare più; tra chitarre elettro-acustiche ed un ritornello sognante e ancora una volta azzeccato, si sviluppa una traccia che, in realtà, non va oltre la superficie di quella emozionalità che vorrebbe, e potrebbe evocare. Con il singolo "Fake" si alzano i ritmi, grazie ad un basso pulsante, dal groove che profuma di psycho-billy; ma la band, imbrigliata in un'impronta hard, assale con troppa foga nelle distorsioni, un brano che avrebbe necessitato di un trattamento più sciolto, loose, e spiritato. "How Many Times" cambia ancora una volta le carte in tavola, all'insegna di un pop rock danzereccio, che ci riporta indietro di qualche anno, al brit rock di gruppi come The Fratellis o Arctic Monkeys, senza purtroppo possederne magnetismo e carisma. La successiva "Pearls" da ancora risalto alla bella voce di Claudio Nicoletti, che riporta alla mente più di qualche eroe dell'epoca grunge; un timbro rock, senza fronzoli, che si dondola tra rabbioso dolore e scariche di adrenalina, per un brano che, purtroppo, a differenza di alcuni episodi precedenti, non decolla. A decollare ci pensa invece "Back To The White Dunes", splendida ballata sorretta da un manto di chitarre gentili e dall'ispirato violino di Laura Masotto; un'altra sterzata stilistica che, questa volta, più che spiazzare, sorprende in positivo per la bontà della composizione, dell'esecuzione e degli arrangiamenti. Sicuramente uno degli apici del disco. Si cambia ancora registro con le chitarre aggressive e pompate di "What If (Fighters Or Slaves)", brano squadrato e un pò scontato, come, d'altronde, quel power rock Americano di nuovo millennio, a cui il brano fa evidente riferimento. Chitarre moderne, debitrici del modello Placebo, introducono la bella "No One", brano che appare curato in ogni aspetto e che sfocia in un bel refrain contagioso, evidenziando anche una maggiore cura compositiva per le strofe, e degli arrangiamenti più profondi. Ancora odore di rock da alta classifica per "Jim The Special", con le sue chitarre asciutte e l'andamento indolente, a la Kings Of Leon; il pezzo appare ben concepito, in virtù di un chorus graffiante nella linea vocale e dinamico nel riff di chitarra, mentre nel finale fa capolino una chitarra solista, che pare finalmente concedersi qualche grido in libertà. Ascoltando "R-Evolution", la sensazione generale è quella di trovarsi di fronte ad un disco a cui manca un po' la naturalezza, e un po' quella imprevedibilità e foga giovanile che un gruppo come i Roadless dovrebbe liberare a profusione; le buone qualità dei musicisti, unite al gusto compositivo, potrebbero portare, in futuro, delle buone soddisfazioni. Purtroppo, per ora, il nome del gruppo appare quasi profetico, in quanto, si ha la sensazione che ciò che manca sia proprio una via da seguire; ondeggiando in una miriade di influenze e stili, che danno all'ascoltatore l'impressione di un frenetico zapping musicale tra le suggestioni favorite della MTV generation. D'altro canto, potrebbe pure essere che i Roadless, con questo loro lavoro, abbiano voluto premeditatamente seguire un approccio più pragmatico, infischiandosene di apparire personali a tutti i costi, ma mirando, invece, ad un bacino di appassionati più ampio possibile e fatto di grosse cifre; ma, in tal caso, le frecce al loro arco, sotto forma di brani vincenti, appaiono ancora limitate. Restano la sensazione del grande impegno profuso in una produzione di livello, ed una manciata di ottime idee che fanno ben sperare per il prossimo appuntamento. www.theroadlessrock.com www.facebook.com/TheRoadless

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