THE ROOTS Il 1998 ha rappresentato il vertice del successo commerciale del rap americano, nonché il momento di maggiore vicinanza al collasso della scena mai sfiorato prima dalla musica legata alla cultura nata all'inizio degli anni '70 nel Bronx. Può sembrare un paradosso ma uno sguardo, pur sommario, alla storia delle sottoculture provenienti dal basso (rock'n'roll e punk su tutte), è sufficiente a ricordare che si tratta di un corto circuito ricorrente. Che da sempre necessita non solo di elettricisti capaci di provvedere alle riparazioni urgenti del caso, ma anche di strateghi dell'uso dell'energia in grado di pensare più in là, indicare nuove strade, nuovi sistemi, nuove sacche da cui trarre risorse utilizzabili. The Roots, sestetto di Filadelfia ai cui alterni riscontri commerciali ha sempre fatto da controppeso la costanza nel giudizio positiva da parte della critica, appartengono alla seconda categoria. Per rimanere nell'immaginario energetico, si direbbe che Black Thought e compagni abbiano sposato la tesi che in economia si chiamo "sviluppo compatibile" bandite le contrapposizioni inproduttive tra "mainstream" e scena "hardcore", saltato in corsa, non senza i doverosi omaggi, l'ormai scontato ritorno della "old school", preso atto del successo anche commerciale di prodotti "intelligenti" firmati A Tribe Called Quest, Gang Starr e Outkast il gruppo ha cercato un equilibrio basato sulla musica, suonata e raramente campionata, e sulla sua possibilità di spingersi verso il mercato senza abbandonare alcuna delle prerogative da cui muove. Ovvero, jazz suonato soul e rap dallo swing scivoloso, metricamente spiazzante eppur contagioso per le melodie che lo pervadono. E' Things Fall Apart, nuovo album del gruppo, il primo per la MCA dopo un esordio sotto le insegne dell'underground londinese. Fortissima la candidatura dei Roots, che già col proprio nome alludono all'esigenza di un ritorno alle origini, non tanto sul piano formale quanto piuttosto in termini di attitudine. Si cerchino idee anziché quattrini, che poi magari questi arrivano lo stesso. Premiato appunto da un egregio piazzamento in classifica, Things Fall Aport è tuttavia un disco confezionato senza mirare a quell'obiettivo. Coerente con il suo glorioso passato, la crew di Filadelfia bada anzitutto a far progredire il proprio linguaggio, rendendolo ancora più raffinato ed elaborato. Tra i primi a sperimentare l'osmosi tra hip hop e Jazz, e non la semplice giustapposizione dei due stili, i Roots si comportano come farebbero Charlie Parker a John Coltrane se fossero cresciuti nell'era del B-boy: rispettano cioè la tradizione nell'unico modo possibile aggiornandola. Risultato eccellente sia nell'insieme che è fluido e compatto, sia in alcuni singoli episodi di particolare pregio: Dynamite! è galante e swingante, Without a Doubt "funkeggia" con grinta hardcore e You Got Me seduce anche il più cinico dei cinici grazie alla regale complicità di Erykah Badu.