L’autore offre una accurata delucidazione sulla sua opera e la sua esplorazione sonora come sempre indirizzata a creare un linguaggio singolare, andando così ad ideare un dance floor totalmente libero da clock, ritmi e groove:
“Motus is more (to me) than just music made with analogue synthesizers, it is about attitude, a way of relating to sound and the (e)motion it affects. A lifestyle, where movement, being moved and moving become one. My practice is vibrational, about the skin, touch and surfaces and the gaseous medium in between. I dream of a dance floor where Motus would be enjoyed. What kind of world, or rather, what kind of society would allow that? And when? Is this futuristic?”
Forse non è un ragionamento futuristico, il compositore teutonico non ha per niente torto, i tempi sono maturi ed è gia dimostrabile grazie ai tantissimi festival dance-oriented che ormai non fanno riferimento solamente a determinati aspetti della musica elettronica ma vanno a rincorre le cognizioni più disparate. Del resto Koner durante il suo lungo percorso sonoro ha già abbondantemente affrontato il tema in maniera meno astratta insieme a Andy Mellwig con il quale ha condiviso il duo Porter Ricks.