In quasi tutti gli anni Settanta il nome di Veryan Weston, che approdò nella città in riva al Tamigi trasferendosi dalla Cornovaglia proprio agli inizi di quel decennio, fu uno dei più citati e omaggiati da critici e innovatori della più profonda "contemporary art" tout-court. Spesso accanto a Lol Coxhill, Trevor Watts e Phil Minton, il pianista (oggi sessantaduenne) venne fra il resto eletto quale miglior "giovane musicista britannico" dalla celebrata Greater London Arts Association e a cavallo degli Ottanta cominciò a raccogliere i frutti del proprio sapere musicale vincendo premi in ogni parte del territorio europeo. Molto attivo anche nel campo delle arti visuali è forse proprio da quei territori che nascono idealmente queste iconoclastiche Tessellations, splendide tassellature di geometria non euclidea che gli amanti dell'arte di Maurits Cornelis Escher ben conoscono perché spesso citate quale prima esemplificazione del concetto di arte figurativa collegata alle scienze matematiche. "Tessellations I," originariamente incisa da Weston nel 2003, è qui invece offerta all'estro del giovanissimo pianista olandese Leo Svirsky con il compito non facile di concepire idee d'improvvisazione sulla base predefinita di cinquantadue scale pentatoniche organizzate con incrementi di mezzo tono. Difficile trovare similitudini se non quelle vicine delle filosofie care a Terry Riley o, se proprio è necessario scomodare la storia, quelle lontane di un certo signor Johann Sebastian Bach e delle sue Variazioni Goldberg. Il risultato è comunque di rara bellezza e si consideri la notazione di non poco conto che questo progetto nella sua interezza faceva parte di una serie di tre concerti portati in giro per l'Inghilterra nel corso del 2010 e che, per comprimere il tutto nei settantasei minuti di questo CD, la prima parte di Tessellations è stata omaggiata solo della sua prima metà. Di completamente diversa natura è invece la partitura di "Tessellation II" composta da Weston per un ben equilibrato ensemble corale austriaco dal peculiare nome di Vociferous Choir. Qui viene invece fuori il sottile quanto storico humour britannico, capace di lavorare su contrappunti propri delle polifonie rinascimentali interlacciate magari anche con coralità proprie dei pigmei dell'Africa Centrale. Una sorta di studio ritmico sulle capacità corali della voce umana che - accanto alla prima composizione brevemente descritta più sopra - danno la cifra di alta creatività del signor Weston. Gli austriaci ci danno davvero dentro; a proposito e per inciso, spero si sappia che da quel lato delle Alpi, la ricerca vocale ha da tempo uno dei suoi maggiori centri di riferimento e - solo sino a pochi anni fa - esisteva a Innsbruck uno dei festival dedicati al mondo della voce più interessanti della storia musicale moderna, oggi purtroppo defunto perché anche da quelle parti la cultura fa davvero fatica a restare a galla. Bene, si scriveva degli austriaci che ci sanno veramente fare: gli otto attori del progetto, addizionati dalla presenza dello stesso Weston, sono in sostanza dei totali sperimentatori musicali, specializzati in molte tecniche di canto esistenti. È come essere alle prese con cento versioni di Manhattan Transfer differenti una dall'altra, capaci di indagare le strutture del canto classico indiano, giocare con i rimandi gamelan tanto cari a Steve Reich e inserire in un cocktail - potenzialmente assai pericoloso - skills forms, beatboxing, scat, rimandi ethno, armonie beatlesiane, appoggi folk, throat song siberiane, accenni del jazz da crooner gloriosi e jodler di elvetica fattura. In realtà, i due brani del disco sono molto più vicini fra loro di quanto possa sembrare. Anche qui, come nel caso delle "Tessellation I," l'analisi di Weston è focalizzata sull'improvvisazione, questa volta di gruppo, sulla base di materiale concretamente strutturato, utilizzando le ovvie possibilità offerte da cicli e loops. E si potrebbe davvero andare avanti per pagine intere anche perché i mondi sonori esplorati sono davvero numerosi e di straordinario interesse ma, dato che bisogna mettere un punto, si potrebbe tranquillamente considerare quest'opera di Weston come un'elevata esemplificazione della capacità di una ricerca totale in grado di carotare generazioni e attraversare mondi e strati di cultura universale. Una sorta di piccola Bibbia del suono confezionata con la massima professionalità che non sfigurerebbe in un qualsiasi trattato accademico dedicato alle capacità dell'umana arte. www.facebook.com/veryan.weston