Vik, tutti i colori del nero Sovente l'accusa volta ai giovani musicisti, da inamidati giornalisti che troppo spesso vivono nel ricordo del tempo passato, è quella di non essere memori delle esperienze musicali precedenti e purtroppo ancora più spesso, come risposta naturale a queste sterili critiche, è quello di trovarsi di fronte ad album che non rappresentano altro che la bieca riproposizione di stereotipi musicali ormai sorpassati. Melodie oscuramente candide, sussurrate e violentemente urlate da una voce senza tempo, che della commistione di genere sembra essersi fatta trasportare. Se un neo per forza lo si è costretti trovare, puntiamo sicuramente sulla omogeneità sonora di Welcome, arma doppio taglio, che da un lato lascia ben sperare: Vik sicuramente ha le idee ben chiare sul suo nuovo futuro musicale, ma d'altro canto dona al tutto una certa indolente compattezza, una chiusura sonora (nell' accezione più ampia del termine), che lascerà i palati meno avvezzi ad un certo tipo di sonorità leggermente intontiti. In conclusione Welcome è sicuramente un' album che con i suoi pregi e difetti (sicuramente i primi controbilanciano più che positivamente i secondi) lascia ben sperare, gettando nuovamente nella mischia una voce che con gli Zerozen, si era positivamente imposta nel circuito musicale e mediatico.