Il bellissimo paesaggio innevato che campeggia nella splendida foto panoramica in bianco e nero, che ha come lontano soggetto una veduta di Praga con il castello Hradcany e che fa da copertina a questo album delicato e fragrante, è la perfetta rappresentazione di uno dei mondi che abitano la mente fervida di Wayne Horvitz. Questa è una musica rarefatta, in quartetto, un po' malinconica, molto invernale, splendida nella sua capacità di condensare emozioni. Una musica che costruisce morbidamente la sua filigrana con la stessa perseveranza con la quale il ragno tesse la sua tela, negli angoli misteriosi che solo un colpo di luce polverosa sa poi evidenziare. La tromba elegante di Ron Miles, il fagotto sotterraneo di Sara Schoenbeck, il violoncello pastoso e lirico di Peggy Lee sono opportuni compagni di strada per il pianoforte e le manipolazioni elettroniche di Horvitz in questo progetto denominato 'Gravitas Quartet'. L'ora abbondante del programma, suddivisa in undici composizioni (tutte firmate dal leader, con l'aiuto in un paio di brani degli altri compagni di avventura), scorre lentamente, senza colpi di coda. Siamo dalle parti della musica da camera contemporanea, la ricerca di punti di equilibrio inconsueti si esplica in ogni contesto, dal fraseggio involuto ed austero alla timbrica scura che profuma di colori tenui, dalla scansione ritmica pigramente distesa e morbidamente ellittica alla raffinata componente armonica che non si ferma davanti a nulla. Il linguaggio jazzistico è un simulacro appena evocato sullo sfondo, una componente quasi occasionale, una sorta di coincidenza che non viene nascosta, ma neppure messa in particolare evidenza. Per l'appunto come il castello di Praga di cui si diceva all'inizio. Il ruolo dell'improvvisazione è sottile e impalpabile, questa musica apparentemente potrebbe essere completamente scritta, ma alla resa dei conti non lo è affatto. Certamente le articolazioni sono lasciate alla libera fantasia degli interpreti che in qualche modo sono incaricati di arricchire, di argomentare, di moltiplicare le intuizioni presenti nello spartito, di improvvisare nello spirito della composizione e nel rispetto delle componenti di gruppo. Un compito che richiede grande sensibilità, grande capacità di lavorare assieme, grande disponibilità a nascondere le pulsioni dell'ego per poi compenetrarle al momento opportuno con quelle degli altri. Cose che questi quattro musicisti sanno fare perfettamente. www.waynehorvitz.net