Un concentrato dei migliori anni ’60 e ’70 con le peggiori intenzioni della contemporaneità, in pratica, al punto che ascoltando il disco escono fuori immagini astruse tipo Jimi Hendrix che jamma coi Sabbath, come avviene ad esempio in Speed Toilet, anche se poi, dopo un paio di minuti, il pezzo diventa una melma distorta che si trascina e ci trascina in un gorgo di psichedelia inacidita, ossianica e vagamente ritualistica. Come a dire, un perfetto paradigma del suono made in White Hills. Il mastodonte di più di venti minuti Don’t Be Afraid, poi, ci dice molto del titolo dell’intero disco, dove è evidente il rimando a Heads On Fire del 2007 e in cui a fare da architrave erano i 26 minuti abbondanti di… Don’t Be Afraid! Esatto, nessun errore. La “vendetta” del titolo (forse meglio considerarla una rivincita o un ritorno, ma ci siamo capiti) è esattamente quella del disco che probabilmente cominciò a farli conoscere, uscendo per una non ancora rinomatissima Rocket Recordings e poi ristampato da Thrill Jockey. Disco che i tre (alle pelli questa volta troviamo Bob Bellomo) riesumano, ri-registrano e rimpolpano con altri 5 pezzi dando finalmente un senso compiuto a quelle che erano le intenzioni, poi disattese per una serie di ragioni (anche personali, dato che i tre di fatto scazzarono e quasi si sciolsero), di Dave W.
Quindi, come suona questa “revenge”? Esattamente come ci si può aspettare dai White Hills, ovvero con un concentrato di psichedelia hard che sfocia o esonda spesso verso territori elettronico-droning-rumoristi (VTDS, Inoke Tupo), che travolge con ondate di suono hard-psych-garage (nomen omen Ocean Of Sound) che spesso si liquefanno per poi ripartire ancor più furibonde (Visions Of The Past, Present & Future), al limite del cacofonico à la Comets On Fire col punk al posto del blues (Eternity). Promossi? Sì, anche se ai due fregherà poco e probabilmente staranno già uscendo con un nuovo disco.