Benché i loro nomi siano Marco e Dario, gli Zenker nulla hanno a che fare con l’Italia. Smorzato da subito il possibile sentimento nazionalista e precocemente quietata qualsiasi illusione, si può individuare e chiarire il dato geografico: Monaco, Germania. Qui, nel 2007, i fratelli Zenker, o Zenker Brothers, fissano il domicilio sotto il nome Ilian Tape. La label prima che dell’hype si preoccupa dello spessore della produzione. Questa non di certo può dirsi pulita e limata, ma piuttosto tutta incentrata sul carattere umano e introspettivo, il quale non ha tardato a portare i giusti e dovuti riconoscimenti. Per Resident Advisor, infatti, Ilian Tape è label del mese di luglio 2014 e poi solo seconda nella Top 20 etichette dello stesso anno. Per cui, si diceva, un suono personale e in continua evoluzione espresso in un’aura familiare che per tanti è casa, per molti altri invece è madre. Andrea e Stenny, per esempio, artisticamente vengono al mondo nel contesto della label in questione, solo dopo però essere stati biologicamente concepiti a Torino. Che le bocche si riempiano quindi ora di elogi e lodi al nostro paese.
La formazione individuale dei due fratelli non pregiudica il valore risultante dalla somma. Come in un’operazione di ordine commutativo le parti presentano un’armonica corrispondenza. Dunque la techno più celata non manca di emergere sotto sembianze soulful house piuttosto che dub, oppure anche presentando tratti sincopati breakbeat o jungle. Marco e Dario, nonostante la comunicazione espressiva diversa, sono perciò ancora tenuti assieme da un unico cordone ombelicale.
Dopo una serie di release a firma singola, come anche in tandem, gli Zenker Brothers entrano con Immersion come panzer nelle vostre vite ridefinendone i confini, rompendone l’equilibrio e minando la normale inerzia delle stesse, che vi troviate sul letto nella vostra camera o tra il sudore umano e il buio del club. Per poco meno di un’ora si è completamente immersi in una conca d’acqua, all’interno della quale la pressione e la forza d’attrito compromettono il movimento respiratorio e l’udito prima, le capacità muscolari e l’ossigenazione sanguigna poi.
L’inizio dell’apnea sia volontaria che di natura patologica coincide con il suono esteso dell’opener Mintro, traccia che si offre impeccabilmente a preambolo e quindi a idea complessiva, totale del lavoro. Il corpo scende lungo le pareti della conca accarezzandole, e lo sguardo teso verso l’alto può ancora percepire la superficie epidermica dell’acqua tagliata da rassicuranti raggi luminosi. L’acqua presto diviene tersa e il corpo freddo, proprio come il groove privo di kick e passionalmente incapace di Aisel. Il senso occlusivo che porta ad una inquietudine schizofrenica è in parte moderato dal piano che in Phing sembra seguire il movimento convulso dell’acqua smossa nella preda delirante, ma pare anche d’altro canto inasprito dal drum break esasperato. La nevrastenia ha la meglio per la maggior parte del periodo e delle scritture, certamente alimentata dal giro break maniacalmente accordato al basso dub alle volte (TSV WB), ai piatti stretti (Innef Runs) ed a note estese e ripetute (Cornel 21) altre volte ancora. I secondi si addossano e il tempo perde il suo peculiare carattere liberatorio, in Ebbman è tutto così dannatamente sconquassato da drum e frequenze distorte. Raccolte le ultime energie si infliggono invano colpi alla vasca (Erbquake) e cresce la consapevolezza della perdita della concezione spazio-temporale. Outark, in chiusura, suona come l’urlo asmatico di chi è liberato una volta passato il pelo superficiale dell’acqua, ma come anche il commovente epilogo di chi invece si è abbandonato alla forza della stessa.
Immersion è tutto centrato su una dualismo di fondo che non condiziona assolutamente la proporzione degli elementi. Marco e Dario innanzitutto, la Detroit e il Regno Unito di fine anni ottanta poi, infine il club e la cameretta del proprio appartamento. Tutte queste parti del più ampio e complesso sistema trovano una coerenza difficilmente raggiungibile in un album di debutto. Per cui chapeau dinanzi ad un album che allo stesso tempo possiede un carisma ed un carattere techno ma che non è invece definibile come tale, che non è scritto in modo specchiato e che suona però maledettamente bene.