"Mechanics" gode di una freschezza in fase compositiva studiata e curata: qui si “jamma" sul serio, difficile trovare più di quattro battute uguali in un album che riduce al minimo indispensabile il supporto computerizzato, per dedicarsi agli strumenti e al suono vero. A volere sezionare e scomporre questo esordio non si può non rimanere stupefatti dalle varie parti che lo compongono: tastiere lanciate a mille all'ora che suonano come se fossero state risvegliate da 25 anni di ibernazione naturale, dimostrando quanto studio e quanta ricerca siano stati fatti prima di premere il tasto record. A pari merito la parte ritmica del “business”: Jolly Mare evita accuratamente la facilità della cassa 4x4 “ready for the dancefloor“ ma costruisce variazioni continue, stacchi, controtempi, alternando aggressività a spazi di relax, divagazioni propense al viaggio mentale e solide celebrazioni da ballo. I bassi poi, mai d’accompagnamento, sono pure elaborazioni di alta tecnica musicale: immaginiamo che l'incontro con Mr. Thundercat ai tempi della RBMA abbia fatto maturare più di un frutto.
Non mancano poi i cantatoni, i pezzi da super classifica show: ed eccolo il "telegattone sui tetti" che balla e canta "Hotel Riviera", punta di diamante di "Mechanics", pezzo pop tricolore. Forse è per quello stacco realista in cui si parla di calzini che tirano e di un caffè, ma la mente ci riporta ad un grandissimo Califano. Infine i due colpi di genio: l'entrata di "Temper", una marcia irresistibile di percussioni degne del ballo di San Vito, ouverture a uno dei pezzi più celebrati e suonati di questo ultimo periodo (se n'è accorta anche BBC Radio1); e poi quel “uhm uhm” in accompagnamento di "Steam Engine", puro Jolly Mare style, su cui si suderà più di una t-shirt.