Konrad Sprenger suona la rumba. Anzi no, è un neo-classico. No, aspetta, questa è techno… E allora che ci fa sto chitarrino? Se uno volesse mettersi ad ascoltare Joerg Hiller, in arte Konrad Sprenger, in maniera etichettatrice, sarebbe spacciato. Ogni pochi secondi il suo suono va altrove, come un rabdomante ipercinetico ha seguito ciascuna intuizione senza paura di cambiare strada a ogni passo, sino ad arrivare a Stack Music, il suo ultimo album, risultato di ben otto anni di gestazione, più algebrica che melodica. Dal mélange caotico degli esordi, Sprenger è riuscito a estrarre una convergenza di onde, che pur continuando a fluire in direzioni differenti seguono un sentore comune. Il risultato è qualcosa di straordinariamente classico, verrebbe da dire tradizionale, per i nostri tempi. Un’ambient schizzata o un kraut al rallentatore, nei cui anfratti si cela lo stesso retrogusto teutonico delle brass band dell’Oktoberfest, quelle che si ascoltano da sbronzi agitando le braccia come operai di qualche industria automobilistica in libera uscita. Cosa che nessuno ci vieterebbe di fare nemmeno a Standards, se non fosse che davanti non avremmo degli ottoni ubriachi ma un uomo con una chitarra elettrica modificata, strumento unico e multiforme in grado di intrecciare ritmiche semplici e complesse con droni e sonorità cosmiche. Capace di guidarci all’improbabile scoperta della musica che avremmo potuto sentire nel 1800 se l’elettronica non fosse stata scoperta così tardi.