Dopo gli anni scolastici passati ad ascoltare jungle, techno ed Autechre, e i susseguenti anni Zero immerso nelle maree e increspature glitch, ambient e noise di Mille Plateaux, Mego e Touch, Lee Gamble si fa conoscere e apprezzare, nel 2012, con due pubblicazioni su Pan che fanno il giro degli addetti ai lavori, delle testate che contano e delle agenzie dei festival. Il suo diventa, quell’anno, il nome da spendere negli ambienti dell’intellighenzia techno, e questo grazie a uno stile personale, trasfigurato, a cavallo tra dancefloor e astrazione. Gamble, nato a Birmingham ma di stanza a Londra, rappresenta il corrispettivo adulto di tanti approcci arty ed eterodossi allo stile di Detroit e Chicago delle varie Tri Angle o Blackest Ever Black. Ma non solo: nella sua musica rientrano i richiami colti (John Cage, Iannis Xenakis, Stockhausen), specie di stampo cosmico e ancor meglio se funzionali all’elettronica con la quale è cresciuto. Il 2014 per Gamble si apre con due uscite parallele: il 12” Kuang e l’album KOCH, entrambi caratterizzati da una luce inedita, e persino qualche spiraglio di ottimismo molto ben dissimulato da ambigiutà e tepori jazzy. Non mancano, tuttavia, i contorni e le screziature noisey, echi e clangori industriali vagamente Mika Vainio e tutto l’aereo fascino della techno dub.