Pete Swanson continua a smanettare con ritmi e rumori, producendo corpi sonori dall’animo informe, dal tracciato alogico. Le due composizioni riunite in questa cassetta autoprodotta provengono da due performance distinte (una al Boiler Room di New York, l’altra al Bimhuis di Amsterdam) e aggiornano quanto l’ex-Yellow Swans va ormai sviluppando da qualche anno, ovvero un mix di noise, techno, “scarti” industrial ed elettronica granulare, il tutto amalgamato con certosina intelligenza. Sul lato A, la pulsazione insistita contribuisce a tenere la barra dritta in mezzo a una tempesta radioattiva che aumenta progressivamente la sua disorientante intensità. Intorno al ventunesimo minuto, dopo qualche attimo di respiro, la scultura sonica procede a colpi di scalpello più pronunciati, finendo per assomigliare sempre più a una trasmissione intergalattica di technoise ascoltata attraverso un paio di cuffie sfondate. La sua “machine noise” (una variante per l'evo digitale della "Metal Machine Music" di Lou Reed) è insomma sempre più viva, e ribadisce l’idea di un corpo-sonoro in cui caos e raziocinio vanno a braccetto, confondendosi, stratificandosi o annullandosi l’uno dentro l’altro, fino a generare un frastuono-estasi, una ragnatela di circuiti e di sinusoidi che attanaglia le orecchie per ramificare a più non posso nel cervello. All'inizio del lato B, il suo proiettore inconscio stende su nastro immagini di un cosmo digitalizzato, pronto qundi a degenerare in una tavolozza espressionista per glissando, distorsioni e bordate a stantuffo. Quando, poi, il battito techno riprende la sua marcia inesorabile, la partitura, invece di seguire un percorso definito, si smarrisce in molteplici direzioni, sbandando, incrociando linee melodiche, frastagliandosi in destrutturazioni 16-bit, assumendo connotazioni harsh-brutaliste, prima di lasciarsi bombardare, in coda, dai laser di un robot spuntato chissà da quale frequenza...