LE FATE SONO MORTE - La Nostra Piccola Rivoluzione
LE FATE SONO MORTE - La Nostra Piccola Rivoluzione
La prima impressione del disco d’esordio di questa band milanese è quella di sentire un tentativo di ripercorrere i binari underground ed il pathos poetico che fu di quei grandi gruppi nati negli anni Novanta italiani. Forse però è meglio dire che, trascinandosi dietro la voce ruvida e sporca di Andrea Di Lago, non riescono a lasciare tracce di sé. Le Fate Sono Morte con “La nostra piccola rivoluzione” si muovono su un cantautorato un po’ rock e un po’ grunge ma con un ammiccamento al pop che rovina tutto l’album rendendolo poco persuasivo. “A parte il freddo” tenta un’apertura più acustica del disco, finendo per farsi quasi ballata. “Ipnotica” ha decisamente dei toni più duri ed un testo che sembra iniziare a dare una cifra stilistica all’album, ma con “E’ già settembre” che le onde sonore del disco ripiombano in un non precisato popsike che ricorda troppo qualcosa di già sentito. “Anime Artificiali” poi rimanda in modo evidente ai The Calling e, se non fosse per il testo dolcissimo e penetrante, non rende giustizia alle potenzialità della band. Potenzialità che ci sono e che si notano soprattutto nella preparazione stilistica del gruppo,la quale però si perde muovendosi nel difficile campo dei suoni del grunge italiano. “Il limite” rallenta tutto il disco ed è la voce del frontman guida tutta la canzone visto che le onde sonore sono, come sempre, poco accattivanti. Le ultime tracce sono ancora il solito lamento rock: “Senza Pace” si trascina lenta e con “Niente (non diventeremo)” si tenta di far uscire una maggiore personalità all’album dando un mood più post-rock. Insoma le 10 tracce si trascinano tutte così tra riff grintosi e sporchi, grunge doloroso e adolsescenziale, testi languidi e sofferti, acustiche oniriche. Un album poco “cattivo” come invece vorrebbe essere o per lo meno come sembra voler essere già a partire dai suoni: chitarre elettriche che raspano testi pieni di inquietudini, basso distorto sempre presente mentre gli archi tentano di lenire tutti questi suoni decisamente neri. Che sia forse questo a rendere poco convincente l’album? Tentare di lenire testi e suoni che nascono per parlare di come non ci sia più niente in cui sperare: nemmeno nell’amore che è “un’illusione”, nemmeno nelle fate, che sono morte.
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