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A MODERN WAY TO DIE - Pulse and treatment - MusicClub numero 251
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A MODERN WAY TO DIE - Pulse and treatment

A MODERN WAY TO DIE - Pulse and treatment A Modern Way To Die è un trio che nasce a Catania nel 2010 e che dopo l’ep “Bad Medicine” pubblica un disco di 8 tracce: l’evocativo “Pulse and Treatment”. Sin dal’inizio ci si tuffa nel post- punk, ma questo degli “A modern way to die” è un post-punk venato di elettronica che si lascia ascoltare ipnotizzante con le sue sonorità che vengono dal passato ma che, con maestria, si lanciano nel futuro. La band catanese crea un mix sonoro in cui il post-punk e la new wave incontrano i synth (cari ai Soft Cell o ai New Order) traendone un disco d’esordio assolutamente originale. “Pulse And Treatment”  è un disco fatto dell’ alternanza di stati emotivi in un clima nichilista e in un mondo di apparente solitudine, alienazione, dolore e vana speranza. La prima caratteristica che sale all’orecchio potente è la cura della voce di Patrick Guerrera, si sente il calore di un timbro che inevitabilmente può essere paragonato a quello freddo ed evovativo di Ian Curtis, di un primo Nick Cave o ancora di Andrew Eldritch. Il punto di forza della band è infatti questo non far nulla per nascondere le proprie influenze più riconoscibili: Devo, Joy Division, Ultravox, Public Image Limited. “Pulse And Treatment” è senza dubbio un album che non sfigurerebbe tra i capolavori del periodo post-punk primevio, gli “a modern way to die” riescono a rievocare quegli scenari anni Ottanta evitando il rischio di cadere nella sterile imitazione. In “She Walks”, brano apripista del disco, regna la psichedelia ma subito da “Last Time”  la componente noise si fa guida della traccia. “Moon in Blue” ,terza traccia del disco, racchiude nell’assolo centrale la complicata successione di stati emotivi di cui il disco si fa portavoce. Seguono veloci i battiti di “Flow” mentre “My own friend “ e “Beautiful wordz” scorrono tra arraggiamenti curatissimi e un’elettronica presente eppure non invadente. “Misantrophy”, pezzo che nel titolo rimanda al disagio attitudinale raccontato dalla band, dura ben 9’45” ma riesce a non stancare mai. Le chitarre sature ed acidissime di Cristian Battiato e Santo Trombetta sono ammodernate da piogge tecniche shoegaze e si vanno a sommare alla voce ossessiva ed epica del frontman dando vita ad un album intensissimo dall’inizio alla fine, carico di scenari dark, di oscure psichedelie urbane e di poetiche “pulsioni. La cura a tutta questa dissacrazione è ascoltare l’album.
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