RAMIN BAHRAMI "MALINCONIA"
Malinconia si apre con una delle poche Sonate in tonalità minore delle 555 Sonate di Domenico Scarlatti (1685-1757), dal carattere morbido e quasi dimesso, uno dei brani più malinconici di questo gigante del barocco, abituato alla brillantezza e al virtuosismo: un brano molto legato alla biografia di Ramin Bahrami, che aprì il suo primo recital al Teatro alla Scala nel settembre 2012 proprio con questa Sonata.
Seguono sei Mazurche di Fryderyk Chopin, scelte fra le complessive 58 mazurche del compositore polacco, composte durante tutto l’arco della sua breve vita e considerate da Bahrami fra le più malinconiche, quasi tutte presenti nel repertorio di Arturo Benedetti Michelangeli. Qui il ritmo di ¾ della mazurca è sì un tempo di danza, però è usato da Chopin per sprigionare tutti i sentimenti possibili, dall’amore per la sua terra natale, la passione, la nostalgia, lo spirito eroico, la malinconia, il dolore. “Cannoni sepolti sotto i fiori” aveva scritto Robert Schumann per descrivere le mazurche di Chopin. In particolare l’ultima scelta da Bahrami, quella in fa minore op. 68 n. 4, è una pagina piena di “malinconia” inconsapevole: è infatti l’ultima pagina scritta da Chopin poche ore prima di morire, ritrovata su un foglio quasi illeggibile accanto al suo letto di morte.
Segue l’incantevole “Ungarische Melodie” in si minore di Franz Schubert, un breve pezzo ricco di riferimenti allo stile “ungherese” pieno di ritmi sincopati. Una pagina leggera e affascinante, in cui la malinconia è come un velo di mestizia elegante: il cinema francese l’ha spesso utilizzata per le colonne sonore di molti film di successo.
Segue “Adieu au piano” di Ludwig van Beethoven, o per lo meno attribuito tradizionalmente a Beethoven: è un breve foglio d’album da salotto adatto ai pianisti principianti, che fu pubblicato nel 1838 (cioè undici anni dopo la morte di Beethoven) dall’editore Gustav Cranz di Berlino. Sullo spartito si legge: “Adieu au piano, valzer in fa maggiore, Moderato con molta espressione. Glaube, Liebe, Hoffnung” (Fede, Amore, Speranza). Una pagina molto semplice, su cui la musicologia non ha dato un giudizio definitivo (manca l’autografo) e sulla quale pochi sono disposti a scommettere si tratti effettivamente di Beethoven, ma che contiene un tema dolce e malinconico ed è molto molto gradita al pubblico. Fu un grande successo di vendita nell’Ottocento specie fra i pianisti dilettanti. Proprio per questo potrebbe essere un “falso” ben riuscito.
La Valse Triste op. 44 n. 1 è invece sicuramente di Jean Sibelius (1865-1957), anzi è forse il suo brano più celebre ed eseguito, soprattutto nella lussureggiante versione orchestrale. Appartiene a un ciclo di musiche di scena scritte per il teatro, per la pièce Kuolema (La morte) del drammaturgo finlandese Arvid Järnefelt. Un diciannovenne sta pregando al capezzale della madre moribonda e si addormenta: la madre si risveglia dal torpore e come in sogno si immagina giovane e bellissima mentre danza un valzer travolgente con un giovane cavaliere. Al culmine della danza muore. Il figlio si sveglia e la trova trasfigurata.
La meravigliosa, intimissima e malinconica Romanza op. 28 n. 2 di Robert Schumann fu scritta all’età di 28 anni, due anni prima di sposare la sua musa ispiratrice Clara Wieck.
L’Intermezzo in mi bemolle minore op. 112 n. 6 di Johanne Brahms è un capolavoro assoluto: la maliconia brahmsiana è sempre ferma e sempre nobile, quasi austera.
La malinconica è quasi lunare nella Elegia n. 2 di Franz Liszt, così ricca di audaci armonie e di astrazione. È una delle pagine più amate e ascoltate assieme al padre nella felice infanzia di Ramin Bahrami nella natia Teheran.
Il Canto d’autunno dal ciclo delle Stagioni di Tchaikovsky è l’epitome del sentimento malinconico, come lo è sempre d’altronde l’immortale autore della Sinfonia Patetica e del Lago dei Cigni.
Un brano malinconico, nonostante l’apparente brillantezza, è il celebre “Mattino” di Edward Grieg, tratto dalla Suite del Peer Gynt: una celebrazione della malinconia del primo sole del mattino, una musica pura, molto amata ed eseguita nelle cerimonie pubbliche dei Paesi Bassi. Il “Canto Popolare” op. 12 n. 5 è la risposta dei paesi nordici alle Mazurche di Chopin e ne contiene tutta la fragrante malinconia.
L’Elegie in re minore di Claude Debussy è l’ultimo brano scritto per il pianoforte dal suo autore, quando aveva 53 anni, poco prima di essere ricoverato in ospedale per un delicato intervento. Fa parte dell’album “Pages inedites sur la femme et la guerre” (Pagine inedite sulla donna e sulla guerra). L’ascoltatore si darà risposta se l’Elegie sia un pezzo sulle donne o sulla guerra…
Il brevissimo (solo 27 battute), malinconico e raffinato Prélude in la minore fu commissionato al trentottenne Maurice Ravel da Gabriel Fauré, direttore del Conservatorio di Parigi, per l’importante prova di lettura a prima vista di pianisti e compositori.
Ricco di pathos e malinconia, il giovanile e quasi romantico Studio op. 2 n. 1 di Alexander Scriabin fu il cavallo di battaglia di Vladimir Horowitz che spesso lo eseguiva come bis, anche in tarda età.
Sergej Rachmaninov (1873-1945) ha molto contribuito al concetto di melancolia in musica: eccone due esempi straordinari nella giovanile Elegia in mi bemolle minore op. 3 n. 1 e nel sensuale Preludio in sol maggiore op. 32 n. 5.
Melancolia se ne trova molta nella Cançon y Danza n. 6 del compositore e pianista Federico Mompou (1893-1987) considerato “lo Chopin catalano”: questo brano fu molto caro a Benedetti Michelangeli che lo eseguiva spesso come bis.
Nella paginetta autografa dell’Elegie in labemolle maggiore di Richard Wagner c’è tutta la grandezza e la forza del Tristano e Isotta: pochi icastici accordi ascendenti che creano un mondo.
Malinconia è anche tedio e noia: la si ascolta in Wasserklavier (n. 3 dagli “Encores” dedicati nel 1965 ad Antonio Ballista) di Luciano Berio (1925-2003), la cui ultima nota coincide con la prima del Preludio Corale “Ich ruf zu dir, Herr Jesus Christ” BWV 639 (Ti invoco, Signore Gesù Cristo), qui nella toccante trascrizione per pianoforte di Ferruccio Busoni con cui si chiude il “concept” album di Ramin Bahrami. Il brano è colonna sonora della celebre scena della lievitazione in assenza di gravità nel film “Solaris” di Andrej Tarkowski (1972). Un forte ricordo d’infanzia di Bahrami, il quale a nove anni vide il film al Cineforum di Teheran assieme al fratello maggiore e ne rimase fortemente colpito. Un ricordo indelebile grazie alla musica di Bach, qui malinconica e consolatoria.
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