BRIGHT EYES "Down in the Weeds, Where the World Once Was" Tour
Down in the Weeds, Where the World Once Was inizia nel più classico stile Bright Eyes: con un pezzo, Pageturners Rag, che in realtà è un collage di voci – una conversazione sotto funghi allucinogeni tra la madre e l’ex moglie di Oberst, Corina Figueroa Escamilla. Ed è subito nostalgia: un inizio così può solo far tremare le gambe ai fan di vecchia data, cresciuti con l’espediente della canzone d’apertura/conversazione/monologo – iniziano così praticamente tutti gli album della band, da Fevers & Mirrors (A Spindle, A Darkness, A Fever, A Necklace) a I’m Wide Awake It’s Morning (At the Bottom of Everything) fino a The People’s Key (Firewall).
I singoli avevano già fatto ben sperare – la cornamusa inaspettata che svolta la cerebrale Persona Non Grata, la deliziosa opulenza pop di Mariana Trench, la batteria irresistibile che cadenza Forced Convalescence– ma la verità è che Down in the Weeds, Where the World Once Wastrabocca di ottimi pezzi: Dance and Sing è un manifesto di speranza e rassegnazione che riassume in due righe l’annus horribilis 2020 (“Got to keep on going like it ain’t the end “) impreziosito da una sezione di archi da perderci la testa, Pan and Broom fa volteggiare dolcemente grazie ai synth anni ’80, Hot Car in the Sun in due minuti scarsi di voce tremolante e piano riesce ad essere uno dei momenti più intensi dell’album, ma, soprattutto, risalta To Death’s Heart (In Three Parts), brano tra i migliori mai scritti da Oberst, con un assolo di chitarra che ti prende e ti porta altrove nel momento in cui pensavi di essere ormai emotivamente sopraffatto (“All these same fears, year after year, all the old ones reappear, the only difference is you’re not here”).
News inserita il
News inserita il