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KOZE DJ dall’Esperienza Decennale

KOZE DJ dall’Esperienza Decennale
Stefan Kozalla ha più di quarant’anni e solo con quest’ultimo album, Amygdala, si può affermare che abbia raggiunto la propria maturità artistica. Un avvenimento raro nel mondo della dance che, nonostante sia da sempre giovanilista, ultimamente si è visto attraversato da tutta una serie di dj giovanissimi, spesso sotto i vent’anni. Consapevole della differenza d’età che lo separa dal mondo e dal pubblico con cui si rapporta, nei suoi lavori DJ Koze ha progressivamente acquistato una certa riflessività e ponderatezza. L’approccio di Koze al proprio medium si basa su un culto dell’arte e un rifiuto dell’utilitarismo e del populismo del dancefloor: l’album si apre con Track ID Anyone?, prodotta con Caribou, dove un sample dichiara we need to eat, we need to sleep and we need music. Culto dell’arte che diventa consapevolezza della storia del proprio genere e di come decenni di ascolti – la stanchezza del musicofilo – siano un filtro inaggirabile attraverso il quale si deve pensare non solo ogni ulteriore brano che si ascolta (tra cui i demo che regolarmente riceve per la Pampa), ma anche ogni suono che si produce. Questa stanchezza, ci dice Koze in più di un’intervista, ha fatto sì che sia per lui ormai impossibile comporre le sue tracce in modo diretto. Con l’eccezione di Marilyn Whirlwind, l’unico vero e proprio banger dell’album composto in un pomeriggio, tutte le tracce sono state costruite a più riprese lungo periodi di mesi e ogni volta disfatte, distorte e ricostruite. L’obiettivo, dichiara Stefan, era quello di elaborare e rielaborare le sue canzoni fino a quando non riuscissero a toccare quel luogo che si cela oltre il muro del già sentito. Il risultato è non solo un livello di produzione e di scrittura tecnicamente eccezionali, ma anche una sorprendente complessità emotiva. Ascoltando Magical Boy e My Plans, entrambe collaborazioni con Matthew Dear, è affascinante come i due musicisti riescano a mescolare beat uplifting e voci pitchshifted esprimendo al contempo gioia e confusione, speranza e malinconia. Quella di Koze resta una techno eterea, fortemente ancorata all’esperienza Kompakt. Non si può ascoltare Ich Schreib’ Der Ein Buch con Hildegard Knef senza ripensare alla ripresa dello Schlager (la canzone pop tedesca) con il campionamento di Dahlia Lavi da parte di Jürgen Paape nella sua So Weit Wie Noch Nie. L’album per giunta si chiude con il pezzo più bizzarro dell’album, NooOoo, costruito intorno al giro di basso del Canone di Pachelbel che nel mezzo di un lied emerge in versione electro-kitsch simile alla cover di Bach di Cornelius in 2010. Come DJ dall’esperienza decennale, Koze è consapevole dell’importanza dell’ordine delle tracce nella creazione di un mood. Se uno inizia con una traccia difficile o atipica, ci dice, tutte le altre risulteranno cervellotiche e pesanti. Per questo Stefan opterà per costruire un album che agevoli l’approccio dell’ascoltatore. L’album compie di propria mano l’operazione pedagogica per farsi comprendere ed è un lavoro che testimonia, in tutta la sua complessità, la grande individualità di Koze come artista. In Amygdala non vi è traccia di una ricerca delle nuove tendenze, dell’inseguire un sound o un pubblico ad ogni costo, ma solo la lotta sisifica di Stefan contro la mediocrità.

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